Il presepe vivente napoletano perde un altro pezzo: dopo Gianna, la contrabbandiera del centro storico, se ne va un'altra figura della Napoli di strada, una di quelle persone che tutti conoscono anche se non sono state mai famose. Oppure lo sono davvero, famose, senza aver mai cantato, recitato, scritto libri, fatto politica o ucciso qualcuno.
Ieri se ne è andato ‘O pa’ ‘o pa’.
Mingherlino, naso tondo, occhi vacui e buoni, se ne va il più piccolo dei nostri monumenti, più leggero della sirena Partenope, fragile, prezioso, sacro come l’uovo di Virgilio. Delle migliaia di volte in cui lo si vedeva, ed era sempre un’immagine rassicurante, sul genere “Napoli resiste ancora”, la cosa più sconvolgente era che, spesso, chiedeva i soldi ma scappava via prima che la gente glieli desse. Una cosa assurda e antieconomica che, però, lo manteneva in vita e gli consentiva di restare identico a sè nonostante gli anni, che nessuno sa quanti fossero. ‘O pa’ ‘o pa’ il tempo lo fregava sul tempo. Eludendo le stesse dinamiche di richiesta e ottenimento, facendosi beffe della logica, portavoce della radice - il pane - non era sottoposto allo scorrere dei minuti come qualunque altro cristiano. Gli bastava una cinetica irresistibile e il suo mantra per proseguire.
Chissà dove andava la sera, ‘O pa’ ‘o pa’. Certi giurano che nascondesse immense ricchezze accumulate negli anni, centesimo dopo centesimo, nella sua casetta dei Quartieri spagnoli. Ma non è vero, è la fama con cui chi ha molto investe diversi poveri, vai a capire perchè. Invece lo si immagina chiudersi in una topaia, consumare enormi forme di pane e sbattere contro un muro, tutta la notte, intento ad oliare un meccanismo che non contemplava gli urti della vita. Come una gomma. Come una mollica.