«Mio figlio con la sciarpa? Esce per fare cose brutte»

«Mio figlio con la sciarpa? Esce per fare cose brutte»
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 10 Febbraio 2020, 07:00 - Ultimo agg. 12:16
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Hanno iniziato presto, usando i fucili ad aria compressa, quelli a piombini «che fanno male» e che provocano urla, paura tra la gente e risate dai balconi. Poi le armi vere, le stese, gli agguati. Sono malati di armi. Ne parlano in continuazione, si allenano a sparare, fanno le stese, per tenere la mira pronta «per buttare a terra qualcuno». Un'ossessione, quella delle armi, a leggere le intercettazioni che stanno alla base della retata di venerdì mattina, che ha colpito il cuore del clan Lo Russo generazione anni venti. Oltre trenta arresti (gli ultimi due, Vincenzo Cangiano e Giuseppe Falcone, si sono consegnati a Secondigliano), in cella Matteo Balzano e il suo stato maggiore. Sono - a leggere le carte - i protagonisti di due anni di terrore puro vissuto da un pezzo di area metropolitana. Oltre sessanta commercianti taglieggiati con la formula del doppio binario («soft» o «come animali»), a seconda dell'interlocutore, controllo delle piazze di spaccio e potere militare. Sentirli parlare fa male, sembra di stare in un videogioco impazzito. A casa, in auto, per strada. Leggiamo le parole intercettate. È il 25 maggio del 2018, sono le 5.18, in vico Croce a Miano, in auto ci sono Matteo Balzano, presunto reggente dei Lo Russo (quelli di «abbasc Miano»), Salvatore Scarpellini e Vincenzo Cangiano. Dice il primo, il presunto boss: «Mamma mia ragazzi e che rumore!»; Scarpellini: «Sai perché la prima volta non è andato? Perché non ho abbassato il caricatore»; Balzano: «Scarrella, scarrella un poco, perché ho sentito che non ha esploso tutti i colpi», dice preoccupandosi del fatto che l'arma (un kalashnikov) deve finire in borsa, deve essere riconsegnata. E per gli inquirenti non ci sono dubbi, i tre tornavano da una seduta di allenamento. Erano andati a sparare, in vista di chissà quale mission criminale, in attesa di esplodere colpi per spaventare («stese») o per fare omicidi. E il tutto è all'insegna dell'esaltazione. Andiamo avanti con la lettura. Matteo Balzano: «Uah ragazzi, che ... di rumore che ha fatto»; Salvatore Scarpellini: «Hai visto come mi muovevo?», dice compiacendosi dopo la sventagliata di proiettili; Vincenzo Cangiano: «Lo faceva cantare quel coso...»; e Salvatore Scarpellini: «Tiene 32 botte, mamma mia...»; Vincenzo Cangiano: «Hai visto quando lo carichi bene fa pah! Una bella botta, hai visto come è bello quando lo lasci veloce? E questo è bello...bum bum bum va da solo»; Vincenzo Cangiano: «Ma che rumore fa quel coso, il terreno si alzava da terra, si alzava da terra»; ed è sempre a Vincenzo Cangiano che tocca una battuta sinistra: «Poi ti faccio vedere che ci facciamo qualcuno», che sta a metà strada tra una spacconata e un presentimento criminale.

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Sempre nella stessa Fiat Bravo, quella usata dal presunto capo Matteo Balzano, qualche giorno dopo, stessa scena, stesso frasario: «Le chiavi della casa... prendi due kalash... prendi pure quelle botte», dice Cangiano a proposito di un'altra presunta seduta di allenamento.
 

Ma di armi e di abitudini criminali si parla anche in casa e non solo in vista di una prova. Indagine condotta dai pm anticamorra Alessandra Converso e Enrica Parascandolo, vengono captate anche le parole di sfogo del padre di un ragazzo appena maggiorenne, finito in cella grazie alla retata di venerdì scorso. Il genitore non è un affiliato, ma «preferisco fare le cose da solo, così se mi busco mille euro non li devo dividere con nessuno», mentre il figlio è uno che esce tutte le sere. Ed è anche una questione di look fa capire il genitore, mentre si sfoga in famiglia: «Quello mio figlio va trovando chi lo uccide, esce tutte le volte e tutti i giorni con la pistola addosso...». Poi il passaggio legato all'outfit: «Quando si mette lo scaldacollo, vuol dire che deve andare a fare qualcosa di brutto...», sempre a proposito dell'esigenza di mimetizzarsi quando si esce con l'arma in pugno. Sangue, paura, racket. Negli ultimi due anni, questo gruppo di fuoco avrebbe imperversato nell'area nord di Napoli, a dispetto di arresti, sequestri, di decine di condanne diventate definitive. Un gruppo che fa leva attorno al presunto stato maggiore, quello di Matteo Balzano, che sembra ricordare con un pizzico di nostalgia quando muoveva i primi passi, impugnano un fucile a pallini come fosse un'arma da guerra. Ecco i ricordi di Matteo Balzano, a proposito di spari dall'alto contro un incolpevole passante: «Il sangue gli usciva... come la fontanella». Tocca a Patrizio D'Aria fare sfoggio dei ricordi personali: «Oh Matteo, quello che lavorava nella rosticceria di Valerio? Quello che pare Pierino, prese la botta in testa, stavo pure io sul balcone, bello e buono Luigi gli sparò in testa, bam». E ancora ricordi corali di piccioni abbattuti, di fruttivendoli spaventati alle cinque del mattino, in una girandola di episodi in cui sarebbe toccato a Gianluca Annunziata chiedere a tutti un minimo di self control: «Perché non facevamo una bella figura agli occhi della gente...».
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