Clan Giuliano di Forcella, la Cassazione chiude i conti: «Donna Celeste deve tornare in carcere»

Clan Giuliano di Forcella, la Cassazione chiude i conti: «Donna Celeste deve tornare in carcere»
di Leandro Del Gaudio
Martedì 1 Giugno 2021, 23:51 - Ultimo agg. 3 Giugno, 08:16
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È finita alcuni giorni fa la lunga attesa di Erminia Giuliano, la donna conosciuta alle cronache cittadine con il nome di Celeste, per i suoi occhi azzurri. Sono stati i giudici della sesta sezione della Corte di Cassazione a respingere tutti i ricorsi presentati dagli imputati dell’ormai lontano processo piazza Pulita, la grande retata culminata nel 2007 in oltre cento arresti nei vicoli di Forcella. Niente rinvii, niente rivalutazione delle condanne, niente benefici per decine di imputati, il processo è formalmente concluso, la battaglia in aula può dirsi conclusa, non ci sono margini per altre dispute dinanzi ai giudici. Una decisione che ha un’evidente conseguenza: quella di aver reso definitive le condanne a carico di alcuni imputati eccellenti, tra cui quella a carico della stessa Erminia Giuliano, sorella dell’ex boss della camorra Luigino Giuliano (da venti anni collaboratore di giustizia).

Per lei - ma non solo per lei - il giudice dell’esecuzione è chiamato a fare alcuni conti, alla luce della sentenza definitiva, ma anche del cosiddetto presofferto, vale a dire il tempo trascorso in cella in relazione a precedenti condanne, facendo scattare il calcolo della cosiddetta continuazione rispetto a precedenti condanne. In sintesi, la donna viene condannata a 24 anni di carcere per associazione camorristica, per aver svolto un ruolo di primo piano nell’antico scacchiere criminale di Forcella; ma è anche vero - è la riflessione della difesa - che ha già trascorso in cella diversi anni, in passato, sempre in relazione a precedenti condanne. Dunque, pallottoliere alla mano, il netto da scontare per saldare i conti con lo stato sarebbe di 14 anni di reclusione.

Difesa dai penalisti Raffaele Chiummariello e Cesare Placanica, la donna ora attende la decisione dei giudici dell’esecuzione, a distanza di anni dalla sua scarcerazione, ma anche dall’inizio del processo.

Stesso destino per decine di imputati per i quali scattano condanne in via definitiva. Ma in cosa consistono le accuse che rischiano di spalancare di nuovo le porte del carcere per la donna ritenuta madrina di Forcella? Atti alla mano, ci sono le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, ma anche le indagini dei carabinieri sul suo ruolo di boss, a partire dagli anni del declino della famiglia.

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Fine anni Novanta, prima parte del Duemila, gli anni in cui il boss Luigino Giuliano cede lo scettro della camorra cittadina ai parenti, prima di intraprendere la strada della collaborazione con la giustizia. È lei a svolgere un ruolo - dicono gli inquirenti della Dda di Napoli - è lei ad aver esercitato un peso nel corso della trama nera che ha avvolto il cuore della città. Accuse da sempre respinte dalla donna, che ha atteso fino alla fine la possibilità di dimostrare la propria estraneità rispetto alle dichiarazioni di alcuni pentiti (anche in ambito familiare), che la indicavano come boss in rosa della camorra cittadina.

Da anni lontana da Napoli, Erminia aveva eletto la zona del basso Lazio come la propria dimora. Formia, la sua nuova città dove dal 2016, si era trasferita provando a chiudere i conti - almeno secondo la versione difensiva - con le antiche vicende familiari. Ora la realtà di un nuovo provvedimento assunto dai giudici, l’inizio di un nuovo countdown. Quando nel 2000 venne arrestata, nel corso di una precedente inchiesta, Erminia fu trovata in un vano ricavato all’interno della propria abitazione di Forcella. Scoperta e portata in cella, chiese una sola cosa alle forze dell’ordine: la possibilità di andare dal parrucchiere, di recarsi a fare la messa in piega, prima di entrare in cella, con il fare tipico di chi sa di discendere da una lunga (e maledetta) vicenda familiare. 

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