Ratzinger, intervista al cardinale Crescenzio Sepe: «Abbracciò la teca di San Gennaro ma il sangue non si sciolse e si turbò»

«Quando ci salutammo mi abbracciò così calorosamente e con gioia che non potrò mai dimenticarlo»

Il cardinale Sepe con il sangue di San Gennaro
Il cardinale Sepe con il sangue di San Gennaro
di Generoso Picone
Martedì 3 Gennaio 2023, 07:00 - Ultimo agg. 19:59
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Il freddo. Il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo emerito di Napoli, di quella giornata ricorda il tempaccio e la temperatura incredibilmente bassa per essere mezzo autunno. Era il 21 ottobre 2007 e sul palco di Piazza Plebiscito Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI, quasi tremava davanti alla folla straboccante. «Gli proposi qualche riparo in più, ma lui con un sorrido rispose di no. aggiunge Sepe Proseguì fino alla fine della celebrazione, pronunciando il suo appello alle energie sane della città per combattere la camorra e creare occasioni di lavoro soprattutto per i giovani. Uno straordinario segno di amore per Napoli, che poi lo portò a chiedermi uno strappo al protocollo ufficiale».

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Sepe, di che cosa si trattava?
«Eravamo alla Pontificia Facoltà teologica di Capodimonte e Papa Benedetto XVI manifestò il desiderio di far visita in forma strettamente privata alla Cappella di San Gennaro al Duomo.

Allora fu deviato il percorso della papamobile in direzione della Stazione Marittima, dove l'attendeva l'elicottero che lo avrebbe riportato in Vaticano, e ci dirigemmo alla Cattedrale. Così mi piace, mi confidò. Non c'era anima viva, soltanto il coro che provava, e lui volle abbracciare la teca con il sangue di San Gennaro. Lo fece con una devozione infinita, la baciò e la strinse a sé con la forza di una devozione assolutamente autentica. Il sangue, però, non si sciolse e a questo punto mi interrogò un po' preoccupato».

Per quale motivo?
«Volle sapere se fosse vero che il mancato scioglimento fosse un presagio di sventura. Purtroppo sì, gli risposi, è Storia. Lo vidi assai perplesso, quasi turbato. Tentai di rincuorarlo, occorreva andar via per non scombussolare definitivamente i programmi, e gli dissi che in fondo San Gennaro si era comunque espresso con quella inedita giornata di freddo e pioggia e con il Vesuvio imbiancato a ottobre. È stato un segno, aggiunsi. Quando ci salutammo mi abbracciò così calorosamente e con gioia che non potrò mai dimenticarlo».

Lo sorprese questa manifestazione di sensibilità verso la religiosità popolare in un uomo di fede così razionale?
«No, perché avevo imparato ad apprezzare la sua estrema sensibilità e, insieme, la sua umanità. Erano doti che non sono mai entrate in contraddizione con la sua concezione della fede e lo portavano anche ad avere rapporti personali di grande calore. Se a qualcuno poteva apparire rigido e severo, nella sostanza era animato da una eccezionale empatia».

Lei lo conosceva da molto?
«Dal 2001, quando da cardinale ero diventato membro della Congregazione della Dottrina della fede che lui presiedeva. Mi aveva impressionato la sua capacità di essere un formidabile teologo che coniugava con la gentilezza dei modi, frutto di solida educazione e salda cultura. Aveva la delicatezza di un signore, nu signore come diremo noi a Napoli, pronto ad ascoltare tutti e a far tesoro dei contributi di chiunque. Poi, da Prefetto della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, gli sottoponevo puntualmente le mie proposte di nomina dei vescovi in Africa e Asia e lui le approvava dopo aver consultato l'atlante geografico e con il dito seguiva i luoghi e le regioni delle diocesi interessate. Fu in quegli anni che in varie occasioni mi interrogava su Napoli. Una terra che amava».

Allora nacque l'idea della visita?
«Già prima di diventare Benedetto XVI, Joseph Ratzinger era stato a Capri, dove nel 1992 e nel 2004 aveva ricevuto il Premio Capri San Michele. Sempre nel 2004 a Napoli aveva ordinato vescovo Bruno Forte, per dieci anni alla Commissione Teologica Internazionale che lui presiedeva. Nel 2007, io arcivescovo, colsi la circostanza dell'incontro dei capi delle religioni a Napoli per invitarlo e lui accettò ben volentieri. Bello, mi disse, convinto di proseguire così il percorso avviato da Giovanni Paolo II nell'appello a coltivare la speranza. Era molto interessato a quanto accadeva nella città, alle sue luci e alle sue ombre, alla sua profonda religiosità».

Fu sorpreso dall'annuncio delle sue dimissioni nel Concistoro dell'11 febbraio 2013?
«Chi non lo fu? Mi aveva spesso parlato del sacrificio di Giovanni Paolo II, della sua malattia che lo aveva attaccato alla croce. Ne era impressionato».

Il suo assistente, padre Georg Ganswein, ha parlato della presenza di diavoli in Vaticano.
«Ci sono sempre stati e temo che sempre ci saranno. Ricorda le parole di Paolo VI sui fumi di Satana, e poi dello stesso Giovani Paolo II? Ma la maggioranza in Vaticano è composta da persone sane, ne sono certo».

Ha più incontrato Papa Benedetto XVI dopo le dimissioni?
«Andai a Roma in visita con la diocesi e regalai a Papa Francesco un rosario realizzato con i cammei di Torre del Greco. Mi fece sapere che, scherzosamente, si era dispiaciuto di non averlo ricevuto lui. Chiamai monsignor Stanislao e glielo feci avere».

Parteciperà all'estremo saluto?
«Certo, sarò in Vaticano di buon'ora mercoledì. Dovessi andarci anche a piedi». 

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