Morta la Regina Elisabetta, la sua visita a Napoli nel 1961: «È una città bellissima... dov’è Capri?»

Morta la Regina Elisabetta, la sua visita a Napoli nel 1961: «È una città bellissima... dov’è Capri?»
di Luigi Di Fiore
Giovedì 8 Settembre 2022, 23:03 - Ultimo agg. 9 Settembre, 16:16
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Due visite a Napoli a distanza di 19 anni l’una dall’altra. Il ricordo della regina Elisabetta fa parte anche della storia della città. Fu un mordi e fuggi quello di martedì 2 maggio 1961. Poche ore a Napoli, per la regina Elisabetta e il marito Filippo principe di Edimburgo. Una breve parentesi, inserita nella visita ufficiale concentrata a Roma con gli incontri con il presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi. «Il Mattino» diretto da Giovanni Ansaldo si affidò alla cronaca meticolosa di una entusiasta Etta Comito, allora giovane cronista poi scomparsa appena cinquantenne. Il blitz reale a Napoli avvenne a bordo del panfilo «Britannia», che fu la residenza della coppia reale in entrambe le visite. Il «Britannia» arrivò alle 10 del mattino alla Stazione marittima, accolto da 19 colpi di cannone della Marina britannica e 21 di quella italiana. Tanta folla in attesa, accanto a Elisabetta a il marito anche l’ambasciatore inglese a Roma, sir Ashley Clarke, e il console britannico a Napoli, Somers Cocks. Impeccabili ad accoglierli, c’erano il prefetto Sergio Spasiano e il sottosegretario agli Esteri, Carlo Russo, in rappresentanza del governo. Attraversando il rituale tappeto rosso, tra due ali di marinai schierati sul molo, una 35enne e sorridente Elisabetta seguita dal principe Filippo salì sulla Rolls Royce reale, mentre la banda della Marina intonava «God save the queen» e l’inno di Mameli.

Subito dopo la tappa voluta dalla sovrana: una visita alla Certosa di San Martino, su al Vomero. Partenza dalla Stazione marittima alle 11,30 per un percorso ancora ricordato dai napoletani che c’erano: piazza Municipio, piazza Plebiscito, via Caracciolo, via Orazio, via Manzoni, corso Europa, via Cilea, via Scarlatti, via Morghen e poi San Martino: via D’Auria e via Tito Angelini fino al piazzale della Certosa. E i napoletani, tantissimi, applaudivano lanciando fiori mentre Elisabetta sorrideva e salutava. Le studentesse vomeresi del «Mazzini» e della «Maria Ausiliatrice» lasciarono le aule per assistere allo spettacolo, mai visto prima, dei regnanti inglesi. Il chiostro della Certosa con il suo panorama sbalordì la regina, accompagnata dal sovrintendente che era il professore Gino Doria e dal direttore dei Beni artistici Bruno Molajoli. Elisabetta commentò: «È una città immensa, bellissima...dov’è Capri?». 

Il principe di Edimburgo si informò sulle «famiglie più nobili napoletane», ne chiese i nomi e il numero, non ne ricordava nessuno e chiese: «E Croce?».

Gli spiegarono che era sprovvisto di sangue blu, ma la nobiltà del filosofo si misurava dalla sua cultura. Nel registro del museo vomerese, si conserva ancora la firma della regina, siglata con una stilografica britannica Perry: «2 maggio 1961, Elizabeth II». Più sotto, un lapidario: «Philip». Ebbero in dono il libro «Neapolis in Italia» con prefazione di Doria. Poi visitarono il museo per ritornare da corso Vittorio Emanuele e via Tasso fino alla stazione di Mergellina dove ripartirono in treno per Roma alle tredici. Ma prima di partire, la regina lasciò un breve messaggio ai napoletani, affidato al console a Napoli: «Avrei voluto poter raccogliere tutti i fiori che mi avete lanciato». Visita lampo, con accoglienza da cui venne escluso il sindaco monarchico Achille Lauro, malvisto dalla Dc al governo. 

La seconda volta napoletana di Elisabetta avvenne di sabato, appena un mese prima del terribile terremoto che devastò l’Irpinia: il 18 ottobre 1980. Sindaco era il comunista Maurizio Valenzi. Stavolta, «Il Mattino» diretto da Roberto Ciuni seguì l’avvenimento con più giornalisti: Ciro Paglia, Enzo Popoli, Gianni Infusino, Giampietro Olivetto. Era la terza tappa della visita ufficiale in Italia. Durò qualche ora in più rispetto a 19 anni prima, con visita anche agli scavi di Pompei, pranzo ufficiale a villa Rosebery e tappa a palazzo San Giacomo. Arrivo a Capodichino con un aereo reale della British Airways, poi alloggio sul solito panfilo «Britannia» ancorato alla Stazione marittima.

Dopo la regina Adelaide nel 1838, Elisabetta fu la seconda sovrana inglese a visitare gli scavi di Pompei. Il suo nome è ora nell’albo d’oro dei visitatori di quell’ottobre 1980. Tre chilometri a piedi con il principe Filippo, ispezionati per dieci giorni dai servizi segreti britannici.

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Sul molo della Stazione marittima, lo spettacolo folkloristico dei «Li Ciaravoli», applauditi dal ponte del «Britannia». Una bambina vomerese, allora di nove anni, avrebbe sempre ricordato quel giorno. Si chiamava Barbara Fabozzi e fu incaricata, con tanto di inchino e sorriso, di portare alla regina sul panfilo un omaggio della città: un cestino di gelsomini giapponesi. Ma non ha dimenticato quella giornata, appena offuscata da un po’ di pioggia, neanche Enzo Scotti, ministro da appena sei mesi, che fu delegato dal presidente della Repubblica, Sandro Pertini, a rappresentare lo Stato per l’intera permanenza napoletana della regina. Scotti fu con la regina e il principe in tutte le ore della visita bis in città. Insieme e con il sindaco Valenzi, si affacciarono dal balcone del terzo piano di palazzo San Giacomo per salutare i tantissimi napoletani accorsi in piazza Municipio. Elisabetta indossava un abito rosso e Valenzi ironizzò: «La regina si è vestita così solo quando è venuta a Napoli».

Trenta ore a Napoli, con ricevimento, fuochi artificiali, spettacolo delle Frecce tricolori sopra villa Rosebery dove si tenne la colazione con 18 persone sedute al primo tavolo con la regina e il principe Filippo, e 34 al secondo tavolo. Dolce finale, naturalmente fu il babà. E, mentre 19 anni prima le immagini della visita furono scattate da Riccardo Carbone, tutte della squadra del «Mattino» quelle del 1980 con le foto di Giacomo Di Laurenzio, Guglielmo Esposito, Giovanni Liguori e Mario Siano, sguinzagliati a rincorrere la regina in tutti i suoi spostamenti. È storia.

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