Scampia senza futuro, il grido di dolore: «Progetti ancora al palo»

Scampia senza futuro, il grido di dolore: «Progetti ancora al palo»
di Valerio Esca
Lunedì 31 Gennaio 2022, 07:00 - Ultimo agg. 16:55
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«A Scampia sembra il dopoguerra». Non ci sono servizi, il verde viene negato, i parchi sono sporchi e inutilizzati, i bambini sono in fuga dalla scuola e il campo rom ha il volto di un «ghetto immobile». Il grido degli educatori del centro territoriale Mammut di Scampia fa male come un pugno nello stomaco. Le parole del coordinatore Giovanni Zoppoli sono così crude quanto vere. Da settembre gli educatori del centro sono tornati in piazza Giovanni Paolo II con il laboratorio scuola e altre attività, ma «a questo punto - dice Zoppoli - ci sentiamo in dovere di condividere anche il generale quadro politico che con più nitidezza va definendosi ai nostri occhi». L'incipit è eloquente: «A Scampia non si muove una foglia».

Le aiuole nelle adiacenze del centro Mammut sono «da sempre in stato di abbandono». «Se fino a qualche tempo fa dal Comune si riusciva ad assicurare una sporadica pulizia - racconta -, oggi questo sembra essere diventato del tutto impossibile.

A quanto pare i giardinieri comunali sarebbero quasi del tutto scomparsi dall'organico a Scampia e la situazione in Asìa si sarebbe aggravata per le assenze da Covid. Il problema ci dicono essere dell'intera città, anche se noi continuiamo a chiederci perché nella piazza più grande di questo quartiere le cose vadano così, mentre altrove cura e pulizia sono quotidiane. Il fatto di avere una delle risorse ambientali più importanti della città rimane solo un peso per le istituzioni, che sembrano più che mai in difficoltà anche per la ben che minima manutenzione». Così come resta sottoutilizzata la Villa Comunale di Scampia «dove ad essere aperto è un solo uno dei cancelli rendendo di fatto questo spazio molto difficilmente utilizzabile».

La piazza sarebbe del tutto abbandonata a sé stessa se non ci fosse il presidio del centro territoriale, autofinanziato e autogestito e dove, purtroppo, «sembra essere venuta a mancare - racconta Zoppoli - ogni possibilità di un'interlocuzione con le istituzioni cittadine e regionali». «Come desolante è il quadro per il resto delle decine di progettualità sulla piazza suggerite dagli studi e delle co-progettazioni con urbanisti e cittadini di ogni età proposte in quindici anni» evidenziano ancora dal Mammut. Non una panchina, non una delle strutture ludiche e sportive, non una fontanella.

«Solo buone intenzioni, grandi progetti e l'immondizia che aumenta sempre più, tanto che se non provvedono gli operatori del Mammut a spazzare, i bambini e i loro genitori hanno difficoltà ad entrare per fare il laboratorio scuola». Così come i campi rom, definiti dall'educatore ghetto immobile, quello che con prosopopea venne definito Il primo villaggio della solidarietà della Campania nel 2000. I campi rom rimangono una delle più grandi vergogne della nostra città».

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Poi i bambini e la fuga dall'educazione, tra «la paura del Covid e i complicatissimi protocolli da applicare per presidi e insegnanti con quarantene, dad, did e affini da gestire». «Scenario complicato dal fatto - dice Zoppoli - che a Scampia il tasso di vaccinati è molto basso, mentre alto è quello di contagi e paure legate al virus, con scene di isterie e iper aggressività annesse. Molte delle piccole conquiste fatte negli anni precedenti sembrano andare perdendosi, e la scuola, a Scampia come nel resto d'Italia, sembra stia perdendo l'occasione di fare di necessità virtù. Non ci era mai capitato di avere tanti bambini che frequentassero il centro Mammut con assiduità e passione e che invece non vanno a scuola. Molto spesso perché le mamme dicono di aver paura del Covid, paura che nasconde motivi ben diversi e più antichi, da sempre alla base dell'abbandono scolastico». Infine il simbolo di Scampia, le Vele, e i grandi proclami di rinascita: tutto fermo, come se il tempo non fosse mai trascorso. In un quartiere dove restano «come unici segni di vita i tanti cittadini e i gruppi (associazioni e parrocchie comprese) che con fatica e coraggio continuano a tenere e animare quel poco di pubblico che rimane». 

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