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Il Mattino

«Faccio le stese per aiutare mamma, vorrei uscire dal giro: non ci riesco»

di Giuliana Covella
Articolo riservato agli abbonati
Venerdì 20 Aprile 2018, 09:22 - Ultimo agg. : 09:37
4 Minuti di Lettura

«Sono stanco. Voglio uscire da questo sistema che mi imprigiona. Ma poi guardo questa pistola e penso: e mo’? dove la metto?». Il suo ragionamento è semplice ma chiaro. Salvatore M., «per gli amici Sasà», non è contento di come trascorre le sue giornate. Ventidue anni a giugno, un padre in galera per associazione per delinquere di stampo camorristico, un monolocale in cui vivono lui, la madre, la nonna e due fratelli minori, Salvatore si arma la mano ogni qualvolta c’è da intimidire gli avversari con una stesa di camorra. Una vita questa, che ormai gli sta stretta, a dispetto della sua giovane età.
 


Com’è la tua vita?
«Non proprio bella. O meglio, pensavo lo fosse. Quando ero più piccolo ero convinto che - se un giorno fossi diventato un boss - sarei diventato ricco e avrei potuto comprare una casa per la mia famiglia. Invece rischio la vita ogni giorno e temo di finire in cella».

Perché?
«Quello che faccio non è proprio lecito. Quando si presenta l’occasione di guadagnare un po’ di soldi, non ci penso due volte. Lo faccio per la mia famiglia».

Che cosa fai?
«Spaccio e, quando mi capita, stese di camorra».

Non hai paura di finire ammazzato?
«Sì. Infatti penso spesso alla possibilità di cambiare vita ma poi...».

Poi che succede?
«Guardo quella pistola con cui sparo insieme ai miei compagni per far vedere agli altri chi è il più forte e poi penso “sì, ma questa dove la metto? Che ne faccio?”. Non è una carta che posso buttare nel cestino».
 
Che intendi dire?
«Che non è facile cambiare vita. Che se una mattina mi alzo e penso di mettermi a lavorare onestamente, il lavoro non c’è. Chi me lo dà?».

Ci hai mai provato?
«Certo. Da quando ero bambino. Avevo 12 anni. Mio padre già entrava e usciva dal carcere. Io andavo a scuola, ma dovevo pure aiutare la famiglia. Mi misi a fare il garzone in un bar fuori al Corso e sai quanto mi davano? Nemmeno 50 euro a settimana. Le mance? Il proprietario pretendeva che le davo a lui. Anzi, se le “pigliava” proprio».

In che senso se le “pigliava”?
«Eh, che li voleva lui e io quando tornavo li dovevo mettere sul banco».

Insomma una specie di estorsione?
«Diciamo...».

Hai concluso gli studi?
«Ho fatto fino alla terza media. Poi diversi lavori saltuari. Pure il meccanico. Sono bravo a riparare le moto. Ma anche in quel caso ti pagano poco e ti vogliono quasi sempre sfruttare».

E non ti sfrutta anche chi ti manda a sparare colpi di pistola in aria per intimidire gli altri clan?
«Sì, infatti perciò a volte mi viene in mente di voler lasciare tutto. Ma non lo posso fare».

Perché? Ci hai provato?
«Perché non è facile. Perché non ci sono alternative. Perché se esco da questo sistema in cui mi sento imprigionato, dopo chi dà da mangiare a me e ai miei familiari?».

Dove vivi?
«Vivo con la mia famiglia in un piccolo appartamento di edilizia popolare al Rione Villa. Mia madre non lavora, perché deve badare a mia sorella e mio fratello che sono più piccoli. Poi c’è la nonna. Stanno sempre in casa. Anche ora (ieri, ndr) che hanno fatto questa manifestazione, loro erano affacciati alla finestra. Non escono quasi mai. Qui non c’è niente».

Qui si spara spesso ormai. Non hai paura che prima o poi tu possa rimanere ferito o ucciso in queste sparatorie?
«Sì, ma ho paura di più per i miei fratelli. Come per i bambini che vanno a scuola nel quartiere». 

La scuola, insieme alla chiesa, qui sembrano essere l’unica speranza. Che ne pensi? 
«Sono d’accordo. Però, ripeto, se non c’è nessuno che ti segue, che ti consiglia la strada giusta, sei destinato a una vita senza futuro. Sono contento di vedere tanti bambini in piazza con i loro insegnanti, ma io non ho avuto questa fortuna».

Cosa vorresti?
«Che la mia famiglia stesse bene, che i miei fratelli vivessero in un quartiere dove possono camminare per strada senza paura e che qui ci fossero più negozi e luoghi per il divertimento».

Hai partecipato alla marcia con scuole e associazioni?
«Sì, ma solo verso la fine. Non potevo espormi. Ho preferito nascondermi in mezzo alla folla davanti alla chiesa».

Vuoi davvero cambiare vita?
«Sì, sono stanco. Voglio una vita diversa, perché mi sento già vecchio alla mia età. Ma, ripeto, se nessuno mi offre un’alternativa al fatto di impugnare una pistola e sparare, come posso farcela?».

APPROFONDIMENTI
San Giovanni vince la paura: in marcia contro le stese

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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