Allerta terrorismo a Napoli, indagini sul viaggio del gambiano

Allerta terrorismo a Napoli, indagini sul viaggio del gambiano
di Leandro Del Gaudio
Martedì 1 Maggio 2018, 08:05
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Vive in stretto isolamento in una cella del carcere di Benevento. Zero contatti con gli altri detenuti, ore a fissare il soffitto, poco cibo, giornate scandite dalla preghiera. Eccolo Alhagie Touray, il 21enne gambiano arrestato una settimana fa all'esterno della Moschea di Pozzuoli, con l'accusa di essere un affiliato all'Isis.

Un nome associato all'idea di attentato da compiere alla guida di un'auto lanciata sulla folla, un volto che viene ripreso dal proprio cellulare mentre si impegna a giudicare fedeltà al califfo del terrore che da anni semina lutto in Occidente e in tutti i paesi che non aderiscono alla guerra santa contro i nemici dell'Islam. Giovedì mattina, salvo rinvii, l'udienza dinanzi al Tribunale del Riesame di Napoli, organo della giustizia italiana al quale il 21enne di origine gambiana si è rivolto per ottenere la revoca della misura cautelare che al momento lo inchioda in cella.
 
Una vicenda tutt'altro che chiusa, sia da un punto di vista processuale che sotto il profilo strettamente investigativo. Su di lui le inchiesta vanno avanti, sotto il coordinamento del procuratore di Napoli Gianni Melillo e del procuratore aggiunto Rosa Volpe. Al vaglio degli inquirenti ci sono una ottantina di utenze, almeno secondo quanto emerso dalla memoria remota del cellulare in uso al gambiano, dopo il sequestro avvenuto una decina di giorni fa. Uno screening affidato a un consulente legale, che - ridotto ai minimi termini - si focalizza sui contatti libici del presunto terrorista. Partito dal Gambia alla volta della Libia, dove ha soggiornato per qualche mese, prima di imbarcarsi su una nave di rifugiati che quattordici mesi fa approdò a Messina. Un barcone da immigrati, un viaggio assieme agli aspiranti rifugiati richiedenti asilo politico, nel corso del quale potrebbe esserci stata la conversione religiosa. In Libia la probabile radicalizzazione, sulla quale gli inquirenti provano a fare chiarezza. Restano sullo sfondo di questa vicenda, i contatti del gambiano, a partire dal nome del terrorista che indottrinava Touray sul giuramento-testamento rinvenuto sul suo cellulare. Chi è la guida spirituale (e militare) del 21enne? E quante sono le guide in questa storia? È il punto più delicato di una inchiesta che fa leva in primo luogo sul video acquisito dagli inquirenti napoletani. Al lavoro i carabinieri del Ros sotto il comando del colonnello Gianluca Piasentin e gli agenti della Digos del primo dirigente Francesco Licheri, alle prese con quei pochi secondi in cui compare il volto del gambiano. Un giuramento, un selfie inquietante, simile a quello di altri terroristi che hanno ucciso negli ultimi due anni. È lì all'inpiedi in una hall dell'hotel Circe di Pozzuoli, mentre pronuncia il giuramento di «fedeltà» al califfo dei musulmani Al Baghdadi, «nei momenti difficili e facili, nel mese di Rajab giorno due», con «Allah a fare da testimone di quello che dico». Parole tutt'altro che comiche, come ha dichiarato in un primo momento il presunto terrorista, parole che presuppongono studio e indottrinamento o comunque qualcosa che va al di là dell'improvvisazione e del colpo di testa estemporaneo. È questa la linea tracciata dal gip Isabella Iaselli, che ha fatto riferimento a un possibile circuito del terrore nel quale Touray potrebbe aver recitato un ruolo ben preciso. Una ricostruzione che ora attende la valutazione di un collegio di giudici, quando - a partire da giovedì mattina - si aprirà la partita dinanzi al Tribunale del Riesame.
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