Profughi dall'Ucraina, a Napoli arrivi no-stop: «Salvate i nostri bimbi»

Profughi dall'Ucraina, a Napoli arrivi no-stop: «Salvate i nostri bimbi»
di Gennaro Di Biase
Giovedì 10 Marzo 2022, 23:54 - Ultimo agg. 11 Marzo, 18:59
4 Minuti di Lettura

Tra i palazzoni di vetro del Centro direzionale volano peluche di Bing, il coniglietto nero in salopette amato dai bambini di tutto il mondo occidentale. A lanciarseli, provando a sorridere, sono dei piccoli ucraini in fuga dagli orrori delle bombe. Sono fragili, i bimbi ucraini, eppure i loro giochi sono segni di una forza maestosa, piena di speranza, che si trova solo nell’infanzia. Al loro fianco ci sono le madri, in qualche caso le nonne: tengono in mano buste piene di vestiti, vite riassunte in pochi oggetti. Nei paraggi c’è un uomo ucraino ben piazzato, che si occupa di portare acqua e cibo sulle panchine. La sede del consolato ucraino di Napoli è un vero e proprio villaggio profughi, in queste ore. Centinaia di bambini, centinaia di donne. Qui si incrociano speranze e tragedie, incertezza e sollievo, dramma e accoglienza. 

Un villaggio itinerante, una piccola tendopoli, babelica e piena di buona volontà, che quasi stride con la geometria ordinata dei grattacieli del Centro direzionale. Protezione Civile, mediatori culturali. E ressa di rifugiati. È qui che iniziano le code per la trafila burocratica. Due tendoni, in cui si dichiara di essere presenti su suolo italiano. Poi una seconda coda, per salire in consolato, dove vengono forniti documenti ed eseguiti i tamponi anti-Covid. Sono centinaia, qui, le famiglie appena sradicate dalla guerra. «La mia casa è stata bombardata, probabilmente - sospira Vira Kurinna, 31 anni e tre figlie piccolissime - Onestamente non lo so, non ho notizie della mia casa da giorni.

Veniamo da Irpin, vicino a Kiev. Ho tre bambine, Maria, Anna e Viktoria. Mio marito è rimasto lì, abbiamo anche difficoltà a sentirci. Avrei preferito che fosse rimasto al mio fianco. Andremo in una casa piccolissima, ospiti di mia suocera a Vico Equense: in 20 metri quadri saremo in 7 persone. Ci siamo rivolte al Comune per un alloggio, ci hanno detto di aspettare». 

Al consolato, va precisato, arriva chi effettua un ricongiungimento familiare o chi ha già un alloggio. E in molti casi si tratta di profughi che giungono direttamente dall’inferno. Da Kherson, una delle città più massacrate, vengono Mark (3 anni) e sua sorella Alina (8 anni). «Abbiamo vissuto nel bunker per 7 giorni, prima di partire - spiega la madre Yuliya Korochevska - Siamo stati fermati per 6 ore prima di partire, abbiamo avuto tanta paura. Gli psicologi, nelle scuole ucraine, ci hanno aiutato a preparare i bimbi al viaggio. Mio marito non è partito, trovo giusto che gli uomini siano rimasti a difendere il Paese. Spero di poter tornare a casa prima possibile». 

Video

Sono tanti anche gli italiani al consolato. Le loro storie raccontano di una solidarietà diffusa ma non del tutto canalizzata, visti gli enormi numeri degli arrivi senza dubbio maggiori delle registrazioni. Le famiglie italiane devono seguire un percorso certificato per poter ospitare i rifugiati. Ed è proprio questo che sta spingendo tanti napoletani a raggiungere autonomamente il confine, così da aggirare le impasse burocratiche. C’è infatti chi «ha offerto un alloggio ai profughi e chiede contestualmente l’affido di minori», fa notare la mediatrice ucraina Svetlana Delimarska. Ma non funziona così. Essendoci famiglie che attendono da anni adozioni, le pratiche passano, naturalmente, dal Tribunale dei Minori. 

 

Nel villaggio del consolato si trova anche chi, come Gennaro Alfano, imprenditore nel settore energetico, è stato investito da una sorta di conversione, di vocazione all’aiuto indotta dall’orrore della guerra: «Sono appena tornato dal confine ucraino - dice - E ho intenzione di tornare per arrivare a Leopoli. Ho portato a Napoli un settantenne che si è ricongiunto con la figlia. I profughi sono tanti che la macchina burocratica italiana non riesce a smaltirli. Dall’inizio della guerra sono stato pervaso da una spinta interiore e ho sentito il bisogno di diventare volontario». 

Le istituzioni stanno privilegiando gli alloggi dei rifugiati nelle strutture accreditate. La burocrazia, in questo caso, rallenta le sistemazioni ma tutela i profughi da situazioni non verificate. Emblematico il caso del bancario Fabio Criscuolo, sua moglie Ilaria Savastano e la giovane Viktoria Panasiuk, studentessa universitaria di giornalismo di Leopoli: «Siamo andati a prendere Viktoria - spiega Fabio - Per portarla a casa nostra a Pozzuoli. Abbiamo preso contatto con lei via social, non trovo giusto che gli uomini siano costretti a restare in Ucraina - conclude Viktoria - combattere è una scelta individuale. Zelensky è un buon presidente, tiene tanto all’Ucraina».

© RIPRODUZIONE RISERVATA