Violenza in corsia, nuova aggressione: devasta l'Ospedale del mare per un mal di pancia

Violenza in corsia, nuova aggressione: devasta l'Ospedale del mare per un mal di pancia
di Ettore Mautone
Lunedì 4 Novembre 2019, 07:30 - Ultimo agg. 10:55
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Arriva di corsa al pronto soccorso e sguscia veloce nella zona dei box di assistenza facendo slalom all'accettazione e al triage. Senza filtro né attesa si siede e si lamenta. Ha un forte dolore alla pancia e chiede una siringa per calmare le fitte. Il medico con pazienza gli dice di accomodarsi sulla barella per essere visitato ma l'uomo ha uno scatto e butta tutto per aria, scrivania e computer e si dilegua. È quanto accaduto ieri mattina all'Ospedale del Mare: un episodio di teppismo, una provocazione, un folle? Non c'è modo di saperlo, le telecamere del pronto soccorso erano out e non resta che rubricare l'episodio come aggressione, la n. 94 del 2019. «Una media di 2 a settimana solo a Napoli», sottolinea Francesco Emilio Borrelli, consigliere regionale dei Verdi che torna a chiedere posti di polizia negli ospedali.

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«Al netto di casi riconducibili alla follia dei singoli o al trasferimento, tra le mura ospedaliere, di usi e costumi di un tessuto socio-culturale degradato - avverte Pino Visone, della Cgil Medici - bisogna considerare che le aggressioni trovano radici anche nell'attuale organizzazione dei pronto soccorso che comportano affollamento e lunghe file per i codici a bassa urgenza, elementi indicati in letteratura come precondizione di aggressività dell'utenza. Capita in un ufficio postale figuriamoci in un pronto soccorso dove c'è un vissuto di ansia. Prendiamo i codici verdi - continua Visone - fanno riferimento alla registrazione di parametri vitali stabili ma possono contenere alcune situazioni difficili per il paziente e talvolta evolvere in maniera critica. Coliche renali, dolore addominale da aneurisma dell'aorta addominale, primo episodio di uno scompenso diabetico, acidosi metabolica. È importante la sicurezza ma militarizzare i pronto soccorso non è la soluzione».

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Il primo presupposto è evitare che pazienti con patologie banali giungano in ospedale. Un problema culturale e di organizzazione dei servizi di primo livello su cui pure il ministro della Salute ha annunciato, nell'intervista di ieri al Mattino, di voler intervenire dotando i medici di famiglia di attrezzature diagnostiche per aumentare la complessità di quest'offerta assistenziale. Il secondo passo è una verifica costante dei carichi di lavoro, i flussi di pazienti e la degenza media nelle corsie. Se i pazienti stazionano per troppi giorni in ospedale si può, ancora, verificare dove si formano gli ingorghi. L'università di Parma di recente ha commissionato uno studio statistico evidenziando che se in un pronto soccorso ad alta affluenza un medico non tratta almeno 12 malati per turno la lista si allunga. Insomma il dato delle aggressioni depurato dai fenomeni di delinquenza e inciviltà spicciola può essere analizzato in un quadro più complesso dove l'esasperazione dell'utenza tende a far percepire ogni lungaggine come negligenza del medico. Senza contare che stress e burn-out innesca nel personale medico e infermieristico ostilità. «Al Cardarelli - conclude Visone - il fatto che dopo il triage si attende in una grande stanza dove tutti possono vedere l'enorme flusso dei pazienti in gravissime condizioni stempera l'aggressività e consente un rapporto diretto senza frapposizione di porte, tra noi e l'utenza che si sente più protetta».

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«La ricetta per venire a capo delle aggressioni? Far rispettare le leggi che ci sono - sottolinea Natale De Falco, operatore della medicina del territorio e consigliere regionale della Cimo - ci sono procedure aziendali già previste e norme che prevedono l'arresto immediato per interruzione di pubblico servizio più l'aggravante in caso di lesioni.

Sembra che siamo sempre all'anno zero. Oggi nei reparti abbiamo un infermiere ogni otto ricoverati, in un pronto soccorso ne gestisce molti di più».

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