Alberto Angela: «La mia notte a Napoli, civiltà pronta al futuro»

Alberto Angela: «La mia notte a Napoli, civiltà pronta al futuro»
di Luciano Giannini
Martedì 21 Dicembre 2021, 07:44 - Ultimo agg. 18:38
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Già ambientare al Mann l'incontro per presentare il programma - e nella sala del Toro farnese, il più grande gruppo scultoreo esistente - è un incipit significativo. Benvenuti nella città in cui «i ragazzi intonano ancora le canzoni dei bisnonni; in una terra di matrice greca, dove gli uomini possono diventare idoli, come Maradona; dove San Gennaro è amico fraterno; dove i defunti vivono, sono compagni quotidiani di solitudine». Parola di Alberto Angela, «emotainment man», l'unico divulgatore capace di fondere cultura, conoscenza ed emozioni. Dopo il museo egizio a Torino; dopo Firenze, Venezia e San Pietro; a tre anni da «Stanotte a Pompei», Raiuno offre al pubblico come cadeaux sotto l'albero «Stanotte a Napoli», girato da Angela in cinque settimane di immersione nel cuore, nella mente e nelle viscere della città indicibile, e in onda nella prima serata di Natale con precisa e coraggiosa scelta editoriale.

Questo è servizio pubblico. Hanno ragione i convenuti all'incontro, il direttore del Mann Paolo Giulierini, quelli di rete e del coordinamento palinsesti Stefano Coletta e Marcello Ciannamea: «Questo programma non è solo un documentario, ma un'emozione». E il sindaco Manfredi: «Regala una bellezza che non resta algida e distante, ma coinvolge. Possiede un'anima. Questo programma è un dono alla città e della città al Paese intero». «La notte ci piace perché, come il ricordo, sopprime i particolari oziosi», notava Borges. Nel buio che rischiara l'essenziale, a Castel dell'Ovo e in piazza del Plebiscito, a Palazzo Reale e nel San Carlo, alla certosa di San Martino e a Santa Chiara, nella cappella del tesoro di San Gennaro e a San Gregorio Armeno, nella Galleria Umberto I e in quella borbonica, nel Palazzo dello Spagnolo e a Santa Maria alla Sanità, nei vicoli di San Domenico maggiore e a Santa Luciella lo speleologo Angela è penetrato con un vagabondaggio avveduto e scrutatore, teso «a mostrare le luci della metropoli che ride e piange».

A rilevare le ombre con i torvi sguardi del pregiudizio pensano già in tanti. Angela: «L'unico modo per abbatterli è la conoscenza». Nella notte di Napoli i tesori sfoggiano una bellezza esaltata dal lavoro tecnico della sua fedele squadra, sotto l'egida del Centro Rai di Fuorigrotta. Questa produzione alta ha il suo marchio di fabbrica. C'è un unico «straniero» che completa l'ensemble, il regista abruzzese Gabriele Cipolletti, con Angela da 30 anni.

Nella notte partenopea rilucono i tesori e le voci. Giancarlo Giannini (nel ruolo di re Carlo), Massimo Ranieri, Serena Rossi, Serena Autieri e uno fra gli artefici del primo scudetto, Salvatore Bagni, hanno il compito di colonna sonora o canora, là dove la musica, qui a Napoli, non è semplice scenografia, ma drammaturgia metropolitana. «Munasterio e Santa Chiara», «Reginella» e «Napul'è» integrano il dna locale. Le ascolterete tra le vestigia di un passato millenario, che ci sussurrano nel silenzio. «Sì, è stato emozionante anche per noi», confessa Angela. «Ho girato il mondo per capire che le cose più belle le abbiamo in casa. Se volete prefigurarvi il futuro, volgetevi al passato. E qui ce n'è tanto. Prendete il Cristo velato. Non è una statua. È una cultura». Se il Cristo velato è una cultura, Napoli cos'è? «Una civiltà».

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Angela parla in una notte di novembre, poco più di un mese fa, in un vicolo del centro storico. Sì, siamo sul set di «Stanotte a Napoli»; visita privilegiata, ed esclusiva, concessa dalla Rai al cronista de «Il Mattino». Noi due tra le ombre. Uno stuolo di gioventù della movida, tornando a casa, irrompe nel budello e lo riconosce: applausi, «bravo», «sei grande». Selfie obbligatorio e via. Di nuovo, silenzio. Le antiche mura cadono sotto il peso imbrattato di scritte e graffiti. Che ne pensi, Alberto? «Segno dei tempi, è l'alfabeto delle nuove generazioni. Vedi, è importante comprendere».

E Angela ha capito Napoli (per quel che si può, certo): «Qui il passato continua a esistere. La vita pulsa. Già te ne accorgi alla stazione. Il volume si alza. È la città, che trae linfa dal suo ieri. Partenope insegna ad amare la vita grande reinventando la vita piccola... Il caffè, la pizza non li ha partoriti lei, ma ne ha fatto arti originali diffuse nel mondo. Non sono importanti gli ingredienti, ma il know-how, la competenza. Il sole, il cibo, il dolore stesso, qui insegnano ad amare il piacere delle piccole cose». Ed eccolo, il perfezionista Angela, seduto a un tavolino, nel vicolo abbagliato dalle luci di set. La ripresa, però, non lo soddisfa. Ha afferrato la tazzina non dal manico, ma dai bordi. «I napoletani non lo prendono così il caffè». Ciak, la scena si ripete. Notte successiva al Mann: «Questo è il museo più bello al mondo. Sì, gli altri hanno oggetti e collezioni, ma li hanno raccolti qua e là. Qui, invece, tutto arriva da due passi. A Pompei ed Ercolano potresti andarci a piedi. Un museo a Km. 0. Una città a Km. 0... sai perché amo stare nei musei? Compio un viaggio nel tempo. Noi ignoriamo le regole della sfida tra gladiatori... ma, tra duemila anni, chi saprà cos'è il fuorigioco?».

Il cinico tempo, guardare al passato per orientare il futuro: è uno dei messaggi di «Stanotte a Napoli»: «Ecco perché vedrete anche il lavoro delle associazioni di giovani volontari che adottano chiese per restaurale. Ecco perché ho voluto chiudere il programma con i ragazzi dell'orchestra Sanitansamble. Danno speranza. In essi vedo quei loro simili, che nel dopoguerra ricostruirono l'Italia distrutta».
 

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