Biblioteca Nazionale di Napoli intitolata a Benedetto Croce, lo storico Piero Craveri frena: «Ne esiste già una...»

«A Napoli c'è già una biblioteca Benedetto Croce, è quella di palazzo Filomarino che è formata dal patrimonio libraio personale del filosofo»

Piero Craveri
Piero Craveri
di Ugo Cundari
Venerdì 13 Gennaio 2023, 11:00
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Cambiare nome alla biblioteca Nazionale di Napoli, dedicandola a Benedetto Croce e non più a Vittorio Emanuele III, sarebbe la fine di un processo naturale che ha già visto il nome del re italiano subentrare a quello dei regnanti precedenti, visto che all'inizio si chiamava Reale biblioteca borbonica e aveva sede al museo Archeologico. Alla proposta di integrare la dicitura Biblioteca nazionale di Napoli con il nome del filosofo, di recente si è espresso a favore pure il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. Anche perché tra le colpe storiche di Vittorio Emanuele III c'è stata quella di mettere la sua firma sotto le leggi razziali volute da Mussolini, nel 1938. Oggi a Napoli a Croce sono intestati l'Istituto italiano per gli studi storici di palazzo Filomarino, del quale è segretario generale la nipote Marta Herling, e due biblioteche, quella del Vomero, in via Francesco de Mura, chiusa da ormai due anni, e quella della fondazione Biblioteca Benedetto Croce, che ha sede a palazzo Filomarino ed è presieduta dallo storico torinese Piero Craveri

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Non può che farle piacere la proposta di intestare anche la Nazionale a Croce, vero Craveri?
«Prima di risponderle mi permetta un paio di precisazioni».

Prego.
«Noi siamo onorati che sia stata avanzata questa idea, anche perché Benedetto Croce si impegnò molto per la Nazionale.

Da ministro dell'Istruzione volle a tutti i costi il suo trasferimento a palazzo Reale, dove la valorizzò e ne fece crescere il patrimonio. Però siamo contrari alla proposta».

Perché?
«A Napoli c'è già una biblioteca Benedetto Croce, è quella di palazzo Filomarino che è formata dal patrimonio libraio personale del filosofo, circa 120mila volumi, alla quale si sono aggiunti nel tempo altri 250mila volumi. Contiamo, oltre a numerose decine di manoscritti e a qualche incunabolo, circa 550 cinquecentine, oltre 10mila libri antichi, cioè stampati tra il 1500 e il 1831, una raccolta di più di 25mila opuscoli, 2200 annate di periodici, corrispondenti a 271 testate, in massima parte estinte. Per non parlare dei manoscritti di alcune opere di Croce, tra le quali La filosofia di Giambattista Vico, La storia come pensiero e come azione, il Contributo alla critica di me stesso, la Storia d'Italia dal 1871 al 1918 e i Taccuini di lavoro, nella stesura definitiva e nella prima versione dei Diari. Insomma, quella già esistente è una grande biblioteca di storia, letteratura e filosofia».

D'accordo, è una biblioteca ricca, ma quali problema vi crea la dedica a Croce anche della Nazionale, ancora più ricca?
«Sarebbe inopportuno. Due biblioteche Benedetto Croce a Napoli, e non considero quella del Vomero perché chiusa e di piccole dimensioni, mi sembrano troppe. Tra l'altro la nostra biblioteca è riconosciuta in tutto il mondo, vengono qui per i nostri libri rari e si creerebbe solo una grande confusione. Magari qualcuno pensando di accedere ai nostri fondi andrebbe in piazza del Plebiscito, e chi sapesse di trovare un libro a palazzo Reale si sbaglierebbe e verrebbe da noi. Anche dal punto di vista amministrativo nascerebbero tanti equivoci. Se la Nazionale fosse di Salerno o di Roma, allora non ci sarebbe alcun problema. Però siamo d'accordo che la Nazionale di Napoli debba cambiare nome. Il nostro antifascismo è storico ed è giusto che non porti più quello di chi ha avallato leggi infami».

E quale nome proponete?
«Anche noi quello di una grande funzionaria dello Stato come Guerriera Guerrieri che la diresse e la difese dai tedeschi, dagli americani, dai bombardamenti. In alternativa, potremmo intestarla a Giambattista Vico».

Perché Vico?
«È stato l'altro grande filosofo napoletano con Croce, al quale si deve la riscoperta dell'autore di La scienza nuova».

Sulla faccenda Marta Herling dice di non volersi esprimere, che «è sufficiente il parere di Craveri», il quale parla sempre con il noi. 

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