Emanuele Filiberto di Savoia a De Magistris: «Via la strada dedicata al mio bisnonno? La Storia non si censura»

Emanuele Filiberto di Savoia a De Magistris: «Via la strada dedicata al mio bisnonno? La Storia non si censura»
di Emanuele Filiberto di Savoia
Lunedì 29 Gennaio 2018, 17:38 - Ultimo agg. 17:52
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Egregio direttore, ho appreso con stupore del lapidario annuncio con il quale il sindaco Luigi de Magistris ha comunicato la cancellazione della storica via di Napoli intitolata al mio bisnonno, re Vittorio Emanuele III. La ringrazio perciò dell’ospitalità sulle pagine de Il Mattino che mi consente così di rivolgermi con alcune riflessioni al primo cittadino. Mi dispiace dover intervenire nuovamente su vicende di questo tipo e tale rammarico si acuisce nel constatare come, ancora una volta, il nome del Re venga buttato in piazza in piena campagna elettorale ed a circa un mese dalle elezioni nell’illusione di attrarre presunti voti da certi settori dell’elettorato – sicuramente non di tendenza moderata - con operazioni-immagine di questo tipo. 

Sì, perché - mi perdonerà il signor sindaco – il sospetto che tale annuncio non sia casuale in questo periodo è più che concreto. Non si spiegherebbe altrimenti tutto questo zelo censorio a poche settimane di distanza dal rientro in Patria delle spoglie del mio bisnonno (peraltro su iniziativa umanitaria del presidente Mattarella) ed a quaranta giorni dalle sopracitate consultazioni elettorali. 

Che ad oltre settant’anni di distanza dalla morte del re, l’amministrazione comunale dell’amatissima Napoli (che ogni Savoia ha nel cuore) avverta improvvisamente la necessità di operare tale cambiamento nel nome della giustizia storica appare quantomeno contestabile. Nessuna precedente amministrazione, nemmeno nell’immediato dopoguerra, quando certamente il clima politico non era molto favorevole alla mia Casa, ha mai pensato di giungere ad un atto simile. Il perché? Forse il sindaco ha tralasciato di scrivere nel suo comunicato che al referendum istituzionale del 2 Giugno 1946 la monarchia ebbe a Napoli il 79,9% dei consensi e che per circa un decennio, fino ai primi anni ’60, un partito dichiaratamente monarchico governò la città. 

Ecco perché nessuno prima d’ora ha mai pensato di mettere in discussione la toponomastica sabauda: si rispettavano i sentimenti di quel 79,9% di napoletani che rappresentavano praticamente la quasi totalità della popolazione, legata anche a molti ricordi relativi ai tanti membri della mia Casa che, da Vittorio Emanuele III (che appunto portava come mio padre il titolo di principe di Napoli), a mio nonno Umberto II ed a mia nonna Maria José, amarono profondamente questa dolcissima città e vi abitarono a lungo. 

Ma aggiungo che forse si aveva più consapevolezza di un valore che dovrebbe essere scontato per chiunque viva in una compiuta democrazia: la storia non si affronta a colpi di censura. Se ci pensa, le rimozioni toponomastiche sono una forma tipica di ogni sistema illiberale che pensa di sviare il dialogo con il proprio passato a colpi di bianchetto.

Ferma restando la condanna assoluta alle ignobili Leggi razziali del 1938, già ribadita con fermezza dalla mia Casa in molte circostanze ed in forma ufficiale nel 2002 al momento del nostro rientro in Italia dopo la fine dell’esilio, sono fiducioso che gli storici daranno presto un giudizio più equilibrato sulle responsabilità della Monarchia in quel periodo della storia d’Italia. O, almeno, si potrà forse anche aggiungere che Vittorio Emanuele III respinse la firma di tali Leggi per ben 3 volte, che fu costretto a firmarle quale Sovrano costituzionale dopo l’approvazione da parte della Camera e del Senato (dove purtroppo senatori come Enrico De Nicola, Benedetto Croce, Alberto Bergamini, Enrico Caviglia e Luigi Albertini che avrebbero potuto far scoppiare un caso istituzionale con il loro voto contrario, rinunciarono alla lotta politica e si astennero dal partecipare alle sedute, privando così il re di qualsiasi tipo di appiglio per intervenire), che ebbe una figlia deportata e morta nel lager nazista di Buchenwald e che regnò per quasi mezzo secolo. Fu il re del suffragio universale, delle conquiste sociali, della legislazione sul lavoro… e potremmo continuare a lungo. 

Aggiungo anche per dovere di cronaca che tra i 9 morti della strage di via Medina, l’11 Giugno 1946, quando Napoli fu testimone di una feroce e sconsiderata repressione antimonarchica, si annovera Ida Cavalieri, 19enne di religione ebraica, morta stritolata da un autoblindo della Celere, mentre manifestava per il re avvolta dal Tricolore. Penso che, in ogni caso, Napoli abbia molti problemi più urgenti e prioritari della crociata toponomastica. Tanti giovani non trovano un lavoro, restano molte piaghe da sanare, la criminalità organizzata non accenna a deporre le armi contro lo Stato. Tempo ed energie dovrebbero essere dedicati a cercare concrete soluzioni a tali problematiche.

Mi permetterà se concludo questa lettera con un’osservazione più leggera: il “principe della risata”, il nostro Antonio De Curtis, l’amatissimo Totò, scherzosamente rimproverato più volte da mio nonno Umberto II per il suo essere più realista del re, più monarchico dei monarchici, non sarebbe certamente felice di questa scelta.

Auspico che il sindaco ne tenga scaramanticamente conto! Mi auguro ci sia occasione per incontrare presto il primo cittadino e dialogare insieme, magari ospiti de Il Mattino.

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