Napoli e Bacellona, due città sorelle unite dalle autostrade del mare

Napoli e Bacellona, due città sorelle unite dalle autostrade del mare
di Marco Perillo
Mercoledì 4 Aprile 2018, 14:57
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Nella primavera del 1438 una vasta flotta di galee provenienti dalla Catalogna assediò la città di Napoli. Era il primo tentativo di Alfonso d'Aragona di conquistare un regno che per questioni ereditarie gli spettava, difeso strenuamente dall'angioino Renato. Le possenti navi catalane, da mare, fallirono nell'impresa, che invece riuscì tempo dopo da terra, quando Alfonso prese Napoli penetrando dall'antico acquedotto di epoca romana.

Da quel momento la storia non fu più la stessa; con l'avvento degli Aragona non solo cominciò il glorioso rinascimento napoletano ma lo stile catalano, dal punto di vista dell'architettura, subentrò a quello gotico-provenzale rendendo familiare anche dal punto estetico la città partenopea con quella di Barcellona.

Ancor oggi sono molteplici gli aspetti che accomunano queste due metropoli mediterranee. Pensiamo a quanto abbiano tratti simili i carrer di Barcellona e i vicoli napoletani, a come il Catalano sia una lingua parallela e sovrapposta allo Spagnolo proprio come il Napoletano lo è con l'Italiano; pensiamo ai rigurgiti indipendentisti del popolo sotto la bandiera a strisce gialle e rosse gli stessi colori del comune di Napoli e alle velleità di autonomia di una città che ha fatto sempre fatica a riconoscersi sotto uno stato unitario. Pensiamo al calcio, a quel Maradona che ha fatto gioire due calorosi stadi; alle file davanti al museo di Picasso che ricordano quelle per la cappella Sansevero, alla madonna nera di Monserrat così simile alle tante, dello stesso colore, venerate in tante realtà campane.

Eppure, se c'è un elemento che oggi connota nel profondo le due città, questo è la vicinanza al mare e il relativo rapporto con esso. Il perché? Occorre fare un ulteriore tuffo nel passato e rapportarci al presente. Fin dal basso medioevo i commercianti catalani giunsero nel porto di Napoli per vendere le loro mercanzie, spesso stoffe e manifatture, e acquistare prodotti agricoli, denotando quello spirito imprenditoriale affidato ai trasporti marittimi che invece, secoli addietro, fu difficilmente sviluppato in terra partenopea. Nei decenni della dominazione aragonese, dal 1442 al 1501, i catalani approdati a Napoli da semplici mercanti seppero divenire funzionari pubblici, amministratori statali, giuristi e tesorieri come Perot Mercader, Mateu Pujades, Andreu Gaçull, Jaume Pelegrí.
Arrivando ai nostri tempi, nel 2018, si può affermare con relativa certezza che questo scenario è mutato. Adesso sono i napoletani a puntare su Barcellona. Sia dal punto di vista mercantile che imprenditoriale. Sempre di più sono gli avventurieri partenopei che sbarcano nella capitale della Catalogna per mettere su imprese commerciali come ristoranti o pizzerie. Ma non solo: emblematiche sono le storie di napoletani migranti che hanno fatto fortuna grazie a nuove opportunità lavorative come la realizzazione della realtà aumentata e altri aspetti di sviluppo tecnologico.
Vero punto nodale della «conquista» di Barcellona è a ogni modo il settore dei trasporti. Se è vero che tanta merce è quotidianamente importata dal capoluogo catalano a casa nostra dall'olio al jamòn serrano è certo che tanti prodotti campani, specie quelli caseari e ortofrutticoli, ogni notte viaggiano verso la Spagna via nave per inondare i mercati iberici. Anno dopo anno l'appeal dei cibi nostrani, specie in terra catalana, aumenta vertiginosamente. Il motivo? Barcellona rappresenta uno dei poli agroalimentari più importanti del mediterraneo, con le sue catene di distribuzione e i grossisti, i suoi ristoranti stellati e buyers alla ricerca di sapori sempre più interessanti.

Se questa osmosi commerciale è in costante crescita, lo si deve anche se non soprattutto a un progetto importante come quello delle autostrade del mare, ovvero quella serie di collegamenti marittimi veloci, frequenti ed economicamente convenienti per il trasporto di camion, trailer, auto ed altre merci rotabili nel Mediterraneo e nel Nord Europa. Chi ha puntato molto su questo aspetto, per esempio, è l'armatore napoletano Grimaldi che con la sua flotta da anni propone una vera e propria alternativa alle autostrade via terra, rendendo possibile la diminuzione non solo dei tempi e dei costi ma anche quella dell'inquinamento, promuovendo la politica dell'Unione Europea volta a un trasporto ambientalmente sostenibile.

Ci s'imbarca di notte a Civitavecchia e la sera successiva, dopo una comoda traversata, si sbarca a Barcellona. Sembra quasi che tra Italia e Spagna non vi siano confini: due terre gemelle unite dal mare. Non appena sbarcati sul Muelle de Costa di Barcellona, se ne ha subito la certezza: si scopre un intero terminal marittimo proprio della Grimaldi, un'infrastruttura disegnata dall'architetto Yannic Levêque, composta di un edificio di tre piani per un totale di 3.750 metri quadrati, un piazzale pavimentato e una passerella con tre finger per l'accesso dei passeggeri. L'azienda napoletana ha realizzato questa struttura nel 2013, una vera e propria «casa del viaggiatore» in grado di ospitare 1.800 passeggeri all'imbarco e 1.800 allo sbarco con 1.000 metri quadrati di uffici, circa 350 metri quadrati di spazi commerciali, un ristorante e una sala conferenze. Il perché di tale stazione si spiega giusto con l'esigenza di implementare l'utilizzo delle autostrade del mare, favorendo l'apertura del porto alla città.

Se lo scalo di Barcellona è diventato leader nel trasporto marittimo di corto raggio in Spagna e, al contempo, uno dei più importanti nel Sud dell'Europa, il contributo dei napoletani non è stato certo da poco. Un concetto che ribalta e dunque riscatta quel che avveniva nel XV secolo dalle nostre parti, quando erano i catalani a dettare lo spirito imprenditoriale all'ombra del Vesuvio. Una lezione da cui probabilmente la città partenopea spesso pigra nei confronti del mare e in attesa del rilancio definitivo del suo porto potrà prendere qualche spunto. Perché in fondo, come scriveva Ferdinand Braudel: «Il Mediterraneo è una buona occasione per presentare un altro modo di accostarsi alla storia. Il mare, infatti, quale lo conosciamo e lo amiamo, offre sul proprio passato la più sbalorditiva e illuminante delle testimonianze».
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