Napoli, la «limonata a cosce aperte» di piazza Trieste e Trento conosciuta in tutto il mondo

Antonio Guerra, acquafrescaio di piazza Trieste e Trento
Antonio Guerra, acquafrescaio di piazza Trieste e Trento
di Emma Onorato
Martedì 12 Luglio 2022, 12:21 - Ultimo agg. 13 Luglio, 08:19
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Il chioschetto di piazza Trieste e Trento è ormai una tappa fissa per i turisti che, da ogni parte d'Italia e del mondo, vogliono assaggiare la limonata a cosce aperte. A battezzare il nome dato alla gazzosa più famosa di Napoli, è stata Carolina Guerra, l'acquafrescaia che gestisce l'attività insieme a suo fratello Antonio. «Prima i giovani non apprezzavano questa bibita, ma da quando ha coniato questo nome, la limonata è come rinata: la gente è curiosa di provarla e tutti sembrano essersi innamorati della nostra bevanda», racconta Antonio, detto Poppò l'acquafrescaio.

Così tra il passaparola, e la curiosità solleticata dall'appellativo dato alla bevanda, la limonata a cosce aperte è diventata famosa in tutto il mondo. Fresca, rigenerante, genuina, e soprattutto divertente da bere. Ebbene sì, perché il gioco è tutto lì. Il succo  viene estratto pressando il limone con un antico spremi agrumi, dopodiché nel bicchiere viene versata dell'acqua gassata, e per ultimo, come tocco finale - pronto a dare brio alla bevanda - viene aggiunto un pizzico di bicarbonato. È questo l'ingrediente che rende spumeggiante la limonata che in un baleno inizia a traboccare dal bicchiere.

Ecco perché si consiglia di berla divaricando leggermente le gambe.

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Il segreto della gazzosa di Trieste e Trento, non risiede unicamente nella qualità e nella genuinità dei limoni selezionati, ma soprattutto nel metodo di spremitura: «Con questa macchinetta si premono anche gli oli della buccia che donano alla bevanda un sapore più intenso rispetto alla limonata che normalmente si prepara a casa».

Un mestiere che fa parte dell'antica tradizione partenopea, come racconta Antonio che ripercorre la storia degli acquafrescai di Napoli: «Nascono nel '700 quando Ferdinando di Borbone, re di Napoli, donò al popolo la fonte del Chiatamone, ovvero l'acqua ferrata e suffregna». Si tratta dell'acqua sulfurea di Santa Lucia, prediletta dai napoletani, che in passato ha rappresentato la principale fonte di guadagno per gli abitanti di via Chiatamone. «Gli acquafrescai erano degli ambulanti, camminavano con due anfore di creta, le famose "mummare", che contenevano l'acqua ferrata per non farla scurire. Insieme alle anfore portavano due tinozze per lavare i bicchieri, un cesto con gli agrumi poggiato in testa, una serie di piatti legati ai pantaloni con una pinza che servivano per schiacciare i limoni. Ed infine un sacchetto di bicarbonato».

«Successivamente, nell'800, sono nate le banche dell'acqua: erano i ristori dei napoletani, in città ce ne erano a centinaia. Da Trieste e Trento a piazza Dante erano almeno una decina». «Questo è un mestiere che ha scritto la storia della città perché i turisti che visitano Napoli, solo qui trovano questa attività - spiega Antonio, tra gli ultimi acquafrescai presenti sul territorio partenopeo - Così noi riusciamo a lasciare un segno della nostra artigianalità» e tradizione napoletana.

Qui in città, nonostante molti chioschi abbiano abbassato la saracinesca, quello di piazza Trieste e Trento continua a cavalcare i secoli, fino ad arrivare ai giorni d'oggi. La nascita del chioschetto, infatti, risale al 1836. Da sessant'anni è gestito dalla famiglia di Antonio e Carolina Guerra. La prima a prendersene cura è stata la madre, poi anche il figlio ha iniziato a seguire le sue orme: «Lavoro qui dal 1972, avevo la dolce età di 13 anni». Antonio rivela che da ragazzino non voleva fare questo mestiere, ma poi aggiunge che, se si potesse tornare indietro nel tempo, non cambierebbe nulla: «Rifarei l'acquafrescaio di piazza Trieste e Trento». Ad aiutare lui e la sorella, ci sono Vincenzo Masiello e Paolo Ventura, due giovani che sembrano aver preso a cuore l'attività della famiglia Guerra.

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