L’Italia si candida al difficile ruolo di mediazione per avvicinare le posizioni americane a quelle cinesi. Non è impresa semplice in materia di ambiente. Ma l’Italia pensa di avere autorevolezza maggiore nell’anno in cui ha la presidenza del G20. All’appuntamento a Palazzo reale a Napoli, dove domani inizierà il G20 sull’ambiente, L’Italia è nella troika che detta l’agenda dei lavori insieme con Arabia Saudita e Indonesia.
Sarà il ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, da padrone di casa a dare domani il via ai lavori dei rappresentanti dei 20 Paesi più ricchi del mondo (insieme fanno più dell’80 per cento del pil e il 60 per cento della popolazione del pianeta) e a incontrare fra gli altri l’inviato per il clima del presidente Usa John Kerry.
I capitoli del confronto saranno tre: la tutela degli oceani e dei mari, del suolo e delle risorse idriche; lotta allo spreco alimentare con valorizzazione dell’economia circolare guardando alla produzione del tessile; gli investimenti sui progetti ecologici. Con la Gran Bretagna, l’Italia porterà proposte sui cambiamenti climatici, che dovranno poi trovare sbocco in un primo incontro a fine settembre a Milano, seguito da un successivo appuntamento a novembre a Glasgow. L’obiettivo è attuare i famosi accordi di Parigi, così tanto messi in discussione dall’amministrazione Trump negli Stati Uniti. La speranza è che domani pomeriggio possa essere presentato un documento conclusivo con idee e proposte operative, che possa fare da sintesi di una ritrovata intesa su questi temi, anche tra Cina e Stati Uniti.
La bozza di confronto del possibile documento finale parte dal devastante effetto della pandemia da Covid-19, che ha messo al centro delle decisioni l’attività scientifica. E proprio dagli scienziati è partito l’impulso ad affrontare con impegno il problema del cambiamento climatico, che incide sulla salute degli uomini alterando gli equilibri biologici. C’è chi cita l’esempio più recente di quanto è accaduto in Germania e in Belgio, con le alluvioni mortali legate a cambiamenti climatici e alterazioni dell’ecosistema. L’economia è strettamente collegata ai confronti dell’appuntamento napoletano, se si pensa quanti progetti sull’ambiente siano inseriti nel recovery plan italiano finanziato dall’Europa. Ma anche al legame che esiste tra l’inquinamento e la produzione di energia, indispensabile alle aziende e alla produzione. Su questo, nella bozza in discussione viene ricordato l’accordo di Parigi che puntava sull’impegno ad affrontare la minaccia del cambiamento climatico, per uno sviluppo «sostenibile» anche in materia di energia. L’obiettivo era investire 100 miliardi di dollari all’anno fino al 2025 a favore dei Paesi in via di sviluppo. L’invito da rinnovare a Napoli è chiaro: «mobilitare maggiori finanziamenti per il clima, privilegiando la ricerca sulle energie sostenibili».
Sulle energie da scegliere esistono diversità di posizioni. La scelta tra nucleare, eolico e altre forme di energie per sostenere la produzione e lo sviluppo non è uguale in tutti i Paesi. Su questo, si tenterà di arrivare a un documento comune tenendo conto quanto la pandemia abbia inciso di più sui Paesi con meno fonti di energia. Nelle bozze in discussione, si parla di «povertà energetica», che è un’altra faccia della povertà in generale. Una definizione su cui non c’è ancora unica visione tra i Paesi del G20. E nel confronto, la parte più rilevante riguarderà l’importanza degli investimenti su energia e ambiente come «opportunità di crescita economica e del mercato del lavoro».