Regionali Campania 2020, le due sfide di De Luca: con Caldoro e con il Pd

Regionali Campania 2020, le due sfide di De Luca: con Caldoro e con il Pd
di Massimo Adinolfi
Domenica 20 Settembre 2020, 07:30 - Ultimo agg. 21 Settembre, 07:02
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Una partita dentro la partita, il voto regionale dentro un quadro più generale, in cui ballano i partiti, i leader, forse anche il governo (o forse no). Una partita in cui si decide il prossimo inquilino di Palazzo Santa Lucia, ma si proietta un'ombra anche su Palazzo San Giacomo. Una partita affollatissima di candidati consiglieri, che rischia però di avere pochi partecipanti, visti i timori sull'affluenza, su cui pesa il Covid 19: quanti elettori campani si recheranno alle urne? Un'incognita in più. 

TUTTI I CANDIDATI E LE LISTE 

Finché han potuto circolare, i sondaggi davano il centrosinistra nettamente in vantaggio. La Campania è anzi l'unica regione, tra le sette al voto, in cui il Pd e i suoi alleati sono davanti. Questo significa che per De Luca la riconquista di Palazzo Santa Lucia può significare qualcosa in più della riconferma. Dopo aver fermato la Lega in Emilia Romagna, Bonaccini ha cominciato a nutrire ambizioni nazionali: quali ambizioni nutrirà De Luca dopo la vittoria? C'è una differenza importante, tuttavia. L'accresciuta statura di De Luca non toglie affatto il Pd da uno stato di inferiorità, che il principale partito del centrosinistra sconta a Napoli e dintorni da una decina d'anni, cioè da quando De Magistris ha scassato. Dall'urna, peraltro, può uscire un risultato più somigliante a quello veneto che a quello emiliano. È possibile cioè che il consenso personale del Presidente superi di gran lunga quello della lista di partito. Lì è Zaia, qui è De Luca. Se Zaia è ormai indicato come la spina nel fianco di Salvini, in casa dem De Luca di chi sarà la croce, oltre che la delizia? Un terreno di verifica saranno le elezioni a sindaco di Napoli, dove è probabile che il governatore farà pesare la sua opinione (la dico con un eufemismo), ma anche in scenari di futuri, possibili rimpasti di governo è difficile che non voglia incidere, che rinunci a determinare le linee di una rappresentanza delle ragioni del Sud.
 

 

Se non si mettono i numeri non si capisce. Elezioni politiche 2018, i Cinque Stelle raggiungono il 54,1% nella circoscrizione Campania 1 della Camera, il 44,5% in Campania 2. Con quei voti, avevano in tasca il futuro Presidente: lo avrebbero potuto eleggere da soli. Ora, non c'è turno amministrativo in cui i capi pentastellati non ripetano che le elezioni locali sono un'altra storia, ed è vero. Ma gli elettori sono gli stessi. E la differenza tra un tipo di elezione e l'altro non può nascondere le dimensioni di un travaso di voti impressionante. Né basterà allo scopo il sì al referendum sul taglio dei parlamentari. Alle europee il Movimento è già calato, a Napoli e in Campania, al 33,8%: di quanto calerà ora? È possibile che Valeria Ciarambino vada persino sotto al risultato di cinque anni fa, quando prese il 17,5%: due anni di presenza al governo non avranno portato un solo voto ai Cinque Stelle in Campania. La regione di Di Maio, Fico, Carla Ruocco: niente. A questo punto i grillini devono capire cosa fare da grandi (cioè da piccoli, rimpiccioliti come sono), e devono farlo in fretta, perché con le elezioni comunali si riproporrà l'eterna domanda: andare da soli? Cercare un'intesa col Pd? Contribuire a ridefinire il campo del centrosinistra o tornare alle origini protestatarie? La carta del ministro Costa, che non sono riusciti a giocare nella partita delle regionali, potrà tornare utile in futuro?

Berlusconi aveva messo subito una cosa in chiaro con gli alleati: la Campania tocca a noi, tocca a Stefano Caldoro. La pandemia, e l'enorme esposizione guadagnata da De Luca nella gestione della crisi gli hanno tagliato le gambe; i margini di recupero in una campagna elettorale strozzata dall'emergenza e povera di appuntamenti decisivi non potevano che essere minimi. A ciò si sono aggiunti dissapori interni (vedi alla voce: Mara Carfagna), e la capacità attrattiva di De Luca su alcuni pezzi di ceto politico centrista, passati dall'altra parte (vedi alla voce: Clemente Mastella). Resta però che per Forza Italia la Campania è il banco di prova. Fratelli d'Italia può misurarsi con propri candidati in Puglia e nelle Marche; la Lega ha il Veneto per completare la riconquista del Nord; la funzione di Forza Italia nel centrodestra può e deve essere quella di sostenere la coalizione con i voti del Sud. Finire con risultati a una cifra significa abbandonare un presidio storico: il primo Berlusconi nasce infatti insieme a un innamoramento (ricambiato) per la città di Napoli, di cui rischia di non rimanere più una traccia consistente. La domanda è dunque: se il centrodestra tiene sarà merito della destra o del centro? Sarà merito di un voto moderato, disponibile a esplorare nuove combinazioni politiche, a Napoli (in vista delle comunali) e a Roma (in vista di eventuali rimpasti), o di un voto che va interpretato solo in chiave di opposizione intransigente e senza sconti?
 

Allo stato Lega significa Matteo Salvini, e Salvini significa soprattutto: via i migranti e Lega nazionale. Una Lega che non rinuncia al federalismo ma che tuttavia ne parla sempre meno, e si fa invece paladina dell'italianità. Prima gli italiani, e prima pure i campani. A condizione di prendere molti voti anche al di sotto della linea Gustav. Napoli e la Campania sono perciò fondamentali, per l'identità della Lega e per l'egemonia all'interno del centrodestra.
A non dire che sono sempre stati, nel centrodestra, terreno di formazione di una classe politica meridionale, alla quale anche la Lega dovrebbe prima o poi contribuire, se il disegno deve avere un futuro. Certo, a questo giro Il successo di Salvini, anzi l'eventuale trionfo, dipende essenzialmente dall'esito delle elezioni in Toscana: se vincesse là, Salvini non accuserebbe alcun contraccolpo da un bilancio più contenuto al Sud. Ma se la Toscana rimane al Pd, se in Campania vince De Luca e in Puglia vince Fitto (cioè la rivale Meloni), per Salvini non si mette benissimo. Bisognerà poi leggere le percentuali: nel 2015 la Lega semplicemente non c'era e dunque qualunque risultato questa volta recherà quindi il segno più. Ma l'asticella da superare, per la Lega, non dovrebbe stare intorno al 5% delle politiche 2018, bensì aggirarsi attorno o poco sotto al 19% delle europee dello scorso anno, per avere il senso di una presenza stabile: non necessariamente egemone nel centrodestra ma neppure soltanto incidentale o complementare, come invece nel Mezzogiorno è stato in passato. 

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