L'Albergo dei poveri ridiamolo ai poveri

di Carlo Borgomeo
Lunedì 2 Agosto 2021, 23:55 - Ultimo agg. 3 Agosto, 06:00
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I ministri Franceschini e Carfagna hanno chiesto 100 idee per la valorizzazione dell’Albergo dei poveri per il quale il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza stanzia la somma di 100 milioni di euro. Gli obiettivi sono la valorizzazione del bene in termini culturali e l’incremento dell’occupazione giovanile e femminile. Se sono ancora in tempo vorrei sottoporre ai Ministri ed ai napoletani un’ipotesi molto netta, che potrà apparire, a prima vista semplicistica e un po’ radicale.

Facciamo come Carlo III di Borbone che nel 1751 decise di realizzare un enorme edificio che accogliesse i poveri della città. Utilizziamo il Real Albergo dei poveri, per i poveri, vecchi e nuovi. Per consolidare percorsi ed esperienze di solidarietà ed accoglienza.

Vi è un enorme bisogno a Napoli di rifugio per i senza fissa dimora, come possono certificare le associazioni che generosamente se ne occupano; c’è bisogno di spazi per i migranti; c’è bisogno di realizzare importanti iniziative di housing sociale; di percorsi di orientamento al lavoro per disabili psichici e fisici; di strutture socio- sanitarie che evitino le lunghe degenze degli anziani non autosufficienti; di iniziative di formazione ed avviamento al lavori per i ragazzi delle periferie; di spazi per attività sportive capaci di togliere gli adolescenti dalla strada; di laboratori musicali, artistici, teatrali, riferiti ai giovani.

L’elenco potrebbe continuare.Si faccia leva sulle straordinarie esperienze di Terzo settore a Napoli ed in tutta la Campania; si replichino le esperienze internazionali più significative. Naturalmente potrebbero essere ospitate altre iniziative, artigianali, di ricerca, museali. Si potrebbero individuare meccanismi di gestione flessibili ed efficienti, sulla scorta di analoghe esperienze internazionali.

E l’operazione, nel tempo, potrebbe essere autosostenibile, perché tutte le organizzazioni pagherebbero un canone, non esoso, ma neppure simbolico. Lo Stato pensi alla ristrutturazione e lasci la gestione ai soggetti del privato sociale. Funzionerebbe e, soprattutto, sarebbe il segno di una città che mette al centro della sua rinascita l’inclusione sociale. Ormai sappiamo che la lotta alla diseguaglianze è una premessa dello sviluppo.

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