De Laurentiis è stato esplicito, anzi ruvido. Lui, che prese il Napoli 17 anni fa dalla Fallimentare in un’aula del vecchio tribunale di Castel Capuano, ha adoperato quel verbo - fallire - all’inizio della conferenza stampa a Roma, dove è da sempre il centro operativo del club. «Il budget va rivisto. Sennò il Napoli fallisce». Non fu possibile un anno fa procedere alla cessione di giocatori e di conseguenza ridurre il monte ingaggi perché i tempi del mercato furono molto ristretti e non arrivarono offerte ritenute adeguate per i big. Se queste proposte - «appropriate», precisa il presidente - ci saranno, stavolta essi partiranno. Perché non ci sono intoccabili.
De Laurentiis, criticato da una parte della tifoseria per la sua freddezza da manager, ha descritto con chiarezza quale sarà il futuro del Napoli. Il sogno è tornare in Champions. La certezza, anzi l’obbligo, è risanare. Dunque, non potranno esservi equivoci. Arriva in panchina Spalletti, uno dei migliori allenatori italiani, eppure la squadra potrebbe indebolirsi. Segno dei tempi. Apportare i tagli all’organico (ovvero agli stipendi) è qualcosa non più rinviabile alla luce della seconda mancata qualificazione alla Champions. De Laurentiis ha chiesto l’intervento del premier Draghi per risollevare il calcio, arrivato a un rosso di 1,5 miliardi dopo la pandemia, eppure lui è un presidente che ha tenuto i bilanci sempre a posto, senza dover ricorrere all’artificio delle plusvalenze.
Il quadro è di grande sofferenza, devastante secondo i club. Ed è giusto il richiamo al realtà in attesa che si possa prendere in considerazione un’alternativa alla Superlega con introiti da 10 miliardi, illustrata a grandi linee da De Laurentiis. Conte si è congedato dall’Inter poche ore dopo aver vinto lo scudetto perché aveva fiutato l’aria di ridimensionamento, dai tagli sugli stipendi alla cessione dei migliori nerazzurri: Hakimi, dopo un anno, sta per passare al Psg per 70 milioni.
Il Napoli deve sedersi al tavolo della trattativa con l’intenzione di far continuare il rapporto con Lorenzo oltre il 30 giugno 2022. Serve uno sforzo, la questione è economica ma non solo. Bisogna far sentire l’azzurro più amato da Mancini davvero importante nel club, non una bandiera da mettere eventualmente nel cassetto se non soffia il vento giusto per farla sventolare. Non si può dire nel caso di Insigne: «E poi sarà quel che sarà». Lorenzo è un capitale da difendere. Arrivato a 30 anni, legato sentimentalmente alla maglia che indossa da dieci stagioni, il capitano sa che questi non sono i tempi per chiedere un contratto stratosferico. Le parti avrebbero dovuto cominciare a confrontarsi prima che finisse il campionato, quando gli azzurri erano rientrati in corsa per la Chiampions, fallita nella notte buia della partita con il Verona. De Laurentiis vorrebbe parlare con i giocatori in ritiro per capire cosa successe quel 23 maggio. E a che servirebbe? La verità è probabilmente quella di una squadra che rivelò negli ultimi 90’ tutti i suoi limiti psicologici e tutta la sua carenza di personalità.