Il buonsenso più forte dei proclami

di Mauro Calise
Mercoledì 13 Dicembre 2017, 23:06
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Nella confusione che regna ormai sovrana sui destini della nostra politica, ecco che arriva una notizia bomba. Una iniezione di buonsenso. Targata, tanto per cambiare, Berlusconi. Il Cavaliere ha da un po’ di tempo dismesso i panni del guascone sempre pronto a spararla più grossa. E ha indossato la grisaglia del saggio pater familias, ammantato di moderazione e comprensione. Eccolo, quindi, che di fronte all’ennesima furibonda sfuriata di Salvini, si guarda bene – come avrebbe fatto in passato – di mettersi a gridare più forte. Ma si limita a una notazione tanto ovvia per la gente comune quanto rivoluzionaria rispetto all’ipocrisia degli altri leader. Udite, udite: se non ci sarà – come tutti, ormai, danno per certo – una maggioranza di uno dei tre poli, Gentiloni resterà in carica. Almeno per qualche mese, fino a nuove elezioni. 
E cos’altro – si starà chiedendo il lettore – sarebbe mai possibile che accada? Quale proteiforme coniglio dovrebbe il povero Capo dello stato tirare fuori dal suo cappello, carta costituzionale alla mano? 
Certo si sa che i Cinquestelle saranno pronti – tanto per non cambiare – a gridare al colpo di stato, qualora Mattarella non conceda a Di Maio un giro di valzer come premier incaricato «a vacante» (come recita l’espressione britannica). Ma questo fa parte del folklore che non ci verrà risparmiato, con tanto di comizi ululanti alle soglie del Quirinale. Ed è altrettanto certo che Salvini proverà ad inscenare una simile performance a Milano, o – meglio – in qualche vallata innevata per rendere più scenografica la ripresa televisiva. 

Ma, al dunque e all’osso, lo sanno tutti: senza una nuova maggioranza, l’esecutivo – con il suo premier e i suoi ministri – sarà costretto a restare dov’è. Come è successo per anni in Belgio e – più di recente – in Spagna. E come sta adesso accadendo nella Germania del – quasi – dopo Merkel.
Però, quello che tutti sanno nessuno – tra i leader – osa dirlo. In pubblico, l’unica cosa che si continua vacuamente a ripetere è che ciascuno vincerà da solo. Anche perché, volete mettere, anche soltanto a insinuare che domani ci potrebbe essere una qualche alleanza trasversale, si rischia il linciaggio mediatico. Certo, Bersani può fare l’occhiolino a Di Maio e, al tempo stesso, lasciare che Grasso prometta che – dopo le elezioni – perché no potrebbe allearsi perfino col cattivissimo Renzi. Insomma, tutti sembrano disposti ad allargare un po’ il proprio polo – o polino, poletto, poluccio – ma senza, per carità, mai scavalcare la linea della contrapposizione frontale. Quella che recita che ciascun polo è armato – alzo zero - contro gli altri e due.
E invece, ecco l’ennesimo coup de theatre del Cavaliere. Che rompe il tabù, squarcia il velo e dice che invece lui si, se proprio fosse necessario, il Governo Pd di Gentiloni lo appoggerebbe. Aggiungendo – ovviamente – solo a tempo determinato, e solo perché si affretti a indire nuove elezioni. Ma si sa, una volta aperto un varco, la breccia può facilmente trasformarsi in un nuovo alveo politico. Ed è questo il vero messaggio che Berlusconi ha lanciato ieri. In almeno tre direzioni. La prima è quella parte del Pd che vorrebbe uscire allo scoperto per una riedizione in grande stile del patto del Nazareno. Non può farlo, perché le divisioni interne al partito democratico non consentono a nessuno di esporsi senza venire pugnalato alla schiena. Ma da oggi, non ci sarà più bisogno di limitarsi a parlare sottobanco dell’unica prospettiva di governo che si potrà rabberciare dopo il voto. E vedrete che, piano piano, qualche filo-nazareniano prenderà un po’ di coraggio. La seconda direzione è Salvini. Visto che il capo leghista continua a accusare il Cavaliere di tramare dietro le quinte l’intesa con gli amici-nemici del Pd, Berlusconi è passato al contrattacco. Dicendogli che non ha alcuna intenzione di rimanere a bagnomaria. Ma che si pone come promotore di un’intesa che garantisca all’Italia un minimo di governabilità.
Il terzo destinatario è il Quirinale. Mattarella non aveva certo bisogno che Berlusconi lo dichiarasse ufficialmente, per sapere che non ci sarebbero altre alternative plausibili. Ma ora che il Cavaliere lo ha riconosciuto apertamente, anche il cammino del Colle diventa – un pochino – meno arduo. E Mattarella potrà cominciare a tessere con più serenità la sua trama. Dopotutto, dopo il disastroso risultato del 2013, fu l’alleanza tra Pd e Forza Italia a rendere possibile a Letta di uscire dall’impasse e mettere i Cinquestelle in un angolo. Era un Pd che comprendeva Bersani e che, con una maggioranza inclusiva di tutta la sinistra, aveva eletto Grasso presidente al Senato e la Boldrini alla Camera. Le chiamarono larghe intese. Oggi, quella coperta si è ristretta. Ma non se ne vedono altre in giro.



 
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