È dalla lunghezza della file fuori alle mense e dal numero delle persone che bussano alla porta dei centri che donano pacchi alimentari, che si comprende la dimensione della crescita della povertà avvenuta durante il secondo lockdown. A Napoli sono aumentati coloro che per mettere un piatto a tavola sono costretti a rivolgersi ai refettori della Caritas o alle sedi della Comunità di Sant’Egidio e delle tante associazioni caritatevoli presenti in città. Si tratta di italiani e stranieri, giovani e anziani, nuovi clochard, gente impoverita che da poco ha dovuto lasciare la propria abitazione e di chi una casa magari riesce ancora a mantenerla, ma fatica ad andare avanti.
Il Covid sta trascinando vorticosamente e trasversalmente nel baratro della povertà tanti che fino a qualche mese fa non sapevano cosa significasse aver bisogno. Tra questi ci sono gli immigrati che facevano i lavapiatti nei ristoranti, le colf che sono state allontanate per paura di contagiare gli anziani a cui badavano, ma anche i napoletani impiegati nei settori del commercio, dello spettacolo e del turismo. I negozi sono vuoti e le vendite sono calate drasticamente, lasciando in grande difficoltà i commercianti che avevano ordinato la merce in previsione dello shopping natalizio, merce che è rimasta invenduta negli scaffali, e quindi senza incassi per pagare i fornitori, aggravando così la situazione del comparto. Poi c’è il mondo marginale del precariato, una grande fetta di persone che tira a campare lavorando al nero o arrangiandosi con piccoli espedienti e inventando mestieri che fino ad oggi gli hanno consentito di sopravvivere. Coloro che vivono nel sommerso sono stati ignorati o solo sfiorati dai bonus e dai ristori messi in campo dal Governo.
Ma anche chi aspetta ancora che gli venga pagata la cassa integrazione, si trova in difficoltà. E allora l’unica ancora di salvezza sono le mense e i centri di accoglienza.
I volontari e gli operatori sociali raccontano che si sono trovati davanti a storie drammatiche, come quella di un giovane di trent’anni che faceva il barista nel Centro Storico, ma una volta che ha chiuso il bar dove lavorava è rimasto senza soldi e, non potendo più pagare l’affitto, ha dovuto lasciare il suo appartamento finendo per strada.
Altri chiedono spese alimentari per sfamarsi o il pagamento delle bollette per non restare senza luce, fino alla richiesta di soldi per far fronte alle diverse esigenze quotidiane. C’è anche chi si avvicina con delicatezza e discrezione: «Sono rimasto senza lavoro e senza niente da fare, se vi occorre posso dare una mano...». Così si è fatto avanti un signore di mezza età, che poi ha aggiunto: «Se c’è da condividere qualcosa non mi offendo».
Ad aggravare la situazione sociale c’è anche la crisi della Whirlpool, che sembra essere uscita dai dibattiti e dai riflettori mediatici. Trecentocinquanta lavoratori oltre a quelli impiegati nell’indotto, alcuni dei quali lavoravano esclusivamente per l’azienda americana, che adesso rischiano di restare senza reddito.
La notte del Natale per molti sarà una lunga notte buia, che richiede un ripensamento su come sostenere chi è finito nel baratro della povertà. E, come ha scritto il presidente Mattarella a papa Francesco in occasione del suo compleanno, «su questo drammatico sfondo si è stagliato ancor più luminoso e alto l’invito a una fraternità aperta».