Rammentare – ricordare – è anche rammendare, cioè cucire gli strappi, inclusi quelli interiori. Ripararli, sapendo che i segni restano visibili. E tutti porteremo a lungo i segni di un’emergenza sfiancante, che ci sembra infinita. Ricorderemo e poi, com’è umano, appena possibile cercheremo di cancellare i flashback dolorosi, di rimuovere l’orrore della pandemia troppo a lungo insediata in cima ai nostri pensieri. Ma poiché nel rammentare-rammendare conta molto anche quel filo storto che riavvicina i bordi lacerati, oggi, nell’ultimo giorno dell’annus horribilis 2020 può essere di aiuto fissare nel ricordo gli sforzi compiuti per riavvicinare i lembi strappati. Cioè i fotogrammi positivi pure emersi dal gran disastro.
Il primo fermo-immagine, da sigillare in un ricordo eternamente grato, immortala i medici, gli infermieri e tutto il personale sanitario che, dal Cotugno al Cardarelli al San Giovanni Bosco all’Ospedale del Mare, si è mobilitato come un’avanguardia sulle prime del tutto disarmata e neanche equipaggiata a dovere al cospetto di un nemico che appariva invincibile, rischiando la propria vita e troppe volte perdendola sul campo. Subito dopo c’è la foto pubblicata sul Mattino di martedì, che ritraeva i nove scienziati campani segnalati dalla rivista Plos Biology tra i ricercatori più prestigiosi del mondo. Di avere queste ed altre eccellenze noi lo sapevamo già, ma per avvalorarle c’è voluta una segnalazione da fuori, come già era avvenuto in aprile quando Sky United Kingdom segnalò il Cotugno come struttura modello a livello mondiale per la cura del Covid-19. Ancora: uno sguardo sulla vita in grado di accordare le nostre giornate con il senso delle azioni positive ci spinge indietro, alla fase marzo-maggio di un lockdown che, contro aspettative suggerite dai soliti triti luoghi comuni, segnalò Napoli e i napoletani in linea con le direttive di massima precauzione. Più ligi di quanto si potesse prevedere, i napoletani lo sono stati in definitiva anche dopo, al netto dei rave di Halloween, della zuffa tra adolescenti di qualche sera fa ad Ercolano e di alcune intemperanze sparse e non dissimili da altre riscontrate da Nord a Sud.
Tra le immagini positive da conservare spicca poi la foto di Mario, il bambino di terza elementare che, durante le prime fasi della didattica a distanza, ogni mattina si connetteva al pc di casa ben pettinato, impeccabile con il suo grembiulino dal colletto bianco stirato a dovere e seguiva attento la lezione impartita dai maestri, come fosse stato nel suo banco.
Prendiamolo come un simbolo dei pazientissimi bambini napoletani che, con valenti insegnanti il più delle volte trovatisi ad improvvisare una didattica mai sperimentata prima, hanno fatto il possibile per far vivere la pratica preziosa dell’apprendimento in condizioni spesso drammatiche.
Tra i fotogrammi del 2020 da dimenticare vanno ancora estratti, e conservati, quelli di una vita culturale sacrificata ma comunque ostinata ad andare avanti: con il concerto a Capodimonte durante la tregua di luglio ideato da Roberto De Simone per il Teatro Festival, Di Giacomo in the mood; con la prima sancarliana della Cavalleria Rusticana in streaming; con il cinema che coraggiosamente va avanti a sua volta in streaming o continuando come possibile a mantenere set aperti in preparazione di promettentissimi film. E una buona, ottima notizia viene dalle statistiche sulle vendite dei libri, che attestano un ritrovato interesse dei napoletani per la lettura. Certo sono immagini deboli, soverchiate da quelle altre, terribili, che raccontano l’essenza di un 2020 di morte e dolore. Però sono importanti perché ci dicono la parte migliore di noi, quella da cui ripartire, se non vogliamo che dilaghino anche altri due terribili pandemie, quella della disperazione sociale e l’altra, della solitudine.