Covid, quei 12 milioni non vaccinati
che preoccupano il ministro Speranza

Covid, quei 12 milioni non vaccinati che preoccupano il ministro Speranza
di Lorenzo Calò
Venerdì 17 Dicembre 2021, 00:00 - Ultimo agg. 18 Dicembre, 10:22
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C’è un numero che preoccupa il ministero della Salute e il Cts. Ed è una cifra altissima. Dodici milioni di italiani non vaccinati, tra irriducibili no vax, soggetti anziani e fragili ancora in attesa della terza dose, oltre mezzo milione di over 70 (fino a 90 anni) che di dose non ha fatto neppure la prima, e un’ampia fascia di popolazione - tra giovani e giovanissimi - per nulla protetta. È questa la platea cui gli sforzi del ministro Roberto Speranza e del commissario di governo Francesco Paolo Figliuolo saranno tesi nei prossimi giorni perché è chiaro che ci avviciniamo pericolosamente alla cifra che molti esperti e modelli matematici hanno indicato come limite «monstre» tra Natale e Capodanno, cioè 30mila nuovi infetti al giorno.

Eppure nel nostro Paese abbiamo oltre 46 milioni di persone vaccinate, 13 milioni di queste addirittura con terza dose. Perché ancora tanti, troppi contagi al giorno? E chi sono ora quelli più esposti, perché non protetti, all’aggressione del virus? Non si dica che è colpa della variante Omicron perché in Italia questa nuova mutazione è ancora largamente minoritaria. Lo ha certificato anche l’Iss: al 6 dicembre scorso - riferisce un rapporto dell’Istituto presieduto da Silvio Brusaferro - la variante Delta era ancora largamente predominante, con una prevalenza stimata superiore al 99 per cento, mentre per la Omicron sono stati trovati 4 casi (oggi sarebbero 27), corrispondenti allo 0,19 per cento del campione esaminato.

Dunque, chi si sta ammalando ancora di Covid? E perché?

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Un primo fattore è costituito dal numero complessivo dei non vaccinati, oltre 6 milioni di adulti in età lavorativa a cui si aggiungono i 6 milioni di bambini sotto i 12 anni, di cui più di 3 milioni in età scolare. Soltanto ieri è partita la campagna vaccinale per la fascia 5-11 anni ma i primi risultati saranno evidenti soltanto tra un paio di settimane. Altro fattore è determinato dalla disomogeneità di distribuzione dei vaccinati, sia a livello territoriale sia per fasce d’età, circostanza quest’ultima che facilita la circolazione del virus e può dar luogo a cluster locali. Secondo i dati del ministero il 77,63% della popolazione ha completato il ciclo vaccinale primario; il 2,91% è in attesa di seconda dose; il 22,08% ha fatto la terza dose (13.082.103). Dunque, preoccupa quel 1.726.736 di cittadini che non hanno ancora completato neppure il ciclo di base mentre circa 20 milioni sono gli italiani che hanno fatto la seconda dose più di sei mesi fa. Continuare ad avere in Italia una popolazione (tra adulti, giovani nella fascia 12-18 e 5-11) oscillante tra i dieci e i dodici milioni di non vaccinati - è l’assillo del ministero - rischia di vanificare continuamente tutti gli sforzi sinora messi in campo spingendo, di conseguenza, le autorità preposte a valutare ulteriori restrizioni e forme di limitazione della vita sociale, lavorativa, produttiva. E, purtroppo, i numeri sono impietosi: nella fascia 12-19 anni a ieri risultavano non vaccinati neppure con una dose 993.210 giovani; nella fascia 20-29 anni 574.002 persone; nella fascia 30-39 anni 973.114 persone; nella fascia 40-49 anni 1.323.435; nella fascia 50-59 anni 1.124.136; nella fascia 60-69 anni 685.068; nella fascia 70-79 anni 410.871; nella fascia superiore a 80 anni 197.515. In tutto fa 6.281.351.

Serve il vaccino? Serve la terza dose di richiamo? La risposta è sì ma va tenuto presente che, almeno dal punto di vista statistico, non tutti gli individui rispondono alla vaccinazione allo stesso modo: circa il 6 per cento della popolazione non è in grado di sviluppare un’adeguata risposta immunitaria. Inoltre, quando si parla di efficacia dei vaccini, ci si riferisce quasi sempre alla capacità che la protezione garantisce rispetto alla malattia grave (e al ricovero ospedaliero) ma è chiaro che aver fatto il vaccino non costituisce di per sé la certificazione di immunità rispetto alla contrazione o trasmissione dell’infezione. Gli studi più recenti hanno poi dimostrato che tale barriera con il tempo si affievolisce perché la risposta immunitaria comincia a regredire (gli esperti chiamano questo fenomeno waning immunity), mentre fortunatamente la protezione contro le forme severe rimane più a lungo. «La variante Delta - ha detto il professor Guido Rasi, ex direttore generale dell’Aifa ed è direttore esecutivo dell’Ema - più efficiente nell’infettare e più veloce nel moltiplicarsi, ha ridotto ulteriormente di circa il 10% l’azione protettiva dei vaccini. È dunque evidente come la somma di questi fattori causi un progressivo aumento dei contagi in una situazione dove le attività lavorative e l’interazione sociale sono ricominciate ad alta intensità». 

In termini tecnici si chiama «worst case scenario». Insomma: la peggiore delle ipotesi possibili. La delinea in un documento l’Ecdc, l’autorità di vigilanza sanitaria europea, rispetto allo scenario continentale relativo all’evoluzione dell’epidemia. Entro i primi due mesi del 2022 la variante Omicron potrebbe diventare quella dominante in Europa e, anche se al momento non appare più pericolosa dal punto di vista clinico, il rischio è che, data la sua straordinaria capacità di contagio, faccia comunque lievitare il numero dei positivi e conseguentemente la percentuale di ospedalizzazioni e decessi a prescindere dalla sua pericolosità. Per questo l’Ecdc richiama i governi «ad anticipare la dose booster a tre mesi ma anche a introdurre di nuovo misure molto ferree “di contenimento non farmacologico” come ad esempio l’implementazione dello smartworking, provvedimenti di semi-lockdown e distanziamento sociale anche nei rapporti familiari». Del resto, già i dati evidenziati ieri dal bollettino del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie fotografano una situazione allarmante a livello europeo con l’Italia che peggiora ulteriormente: Pa di Bolzano, il Friuli Venezia Giulia, Veneto e la Valle d’Aosta si confermano in rosso, nella zona di colore rosso ci sono tutte le altre regioni tranne Molise, Puglia e Sardegna che rimangono in zona arancione.

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