Da Putin all’Iran la minaccia nucleare

di Cinzia Battista
Mercoledì 13 Marzo 2024, 23:48 - Ultimo agg. 14 Marzo, 07:14
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Se a Est, in questo momento, l’antagonista più temuto dagli Usa è lo zar russo che minaccia continuamente americani ed europei, in Medio Oriente è l’Iran a essere l’attore geopolitico più pericoloso dell’area. Ma qual è la strategia di Teheran che l’Occidente tenta di fronteggiare da decenni, e che è arrivata al culmine di espansione nel disordine mondiale dei nostri tempi? C’è stata la riunione trimestrale del consiglio di amministrazione dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea).

Da questo summit gli Stati Uniti e i partner europei hanno lanciato l'allarme - come riporta The Guardian - sulla mancanza di cooperazione dell'Iran sul suo programma nucleare. La riluttanza di Teheran non è nuova, ma suona, in questo momento di profonda crisi, come una grave minaccia. Il direttore dell'Aiea, Rafael Grossi, ha addirittura ammesso che l'ispettorato ha perso la continuità delle conoscenze sulla produzione di uranio e di altri elementi che aprirebbero la strada alla costruzione della bomba atomica iraniana. Anche l'inviato russo presso l'agenzia, Ulyanov, ha avvertito che la situazione è «piena di pericolo e rischia di sfuggire al controllo».

Il precedente che in gran parte ha contribuito a peggiorare la situazione si può far risalire al 2018 quando l'allora presidente Trump decise il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dal Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), l'accordo decennale sul nucleare del 2015 voluto da Obama e firmato con l'Iran da Stati Uniti, Cina, Russia e Ue. L'obiettivo del piano era di impedire a Teheran di sviluppare una tecnologia tale da permettergli di costruire ordigni atomici, ma di consentirgli di proseguire il programma volto alla produzione di energia nucleare ad usi civili. La decisione di Trump era guidata dalla sua politica dell'America First, secondo la quale le decisioni degli Stati Uniti venivano prese esclusivamente in base a motivazioni di interesse nazionale, senza tenere conto né di impegni assunti in precedenza con gli alleati, né di considerazioni di sicurezza collettiva. La decisione americana aveva dunque aperto un momento di crisi nelle relazioni transatlantiche e Teheran si era sentita libera di violare il patto e proseguire in maniera incontrollata nel suo programma nucleare.

A peggiorare la situazione, sono state le elezioni parlamentari tenute in Iran ai primi di marzo di quest'anno con un'elevatissima percentuale di astensione, dalle quali sono uscite vincitrici le fazioni politiche fondamentaliste contrarie all'accordo sul nucleare che hanno diffuso minacce e annunci di un arricchimento dell'uranio a un livello molto elevato. Da qui sono emerse due gravi preoccupazioni. La prima è che la guerra di Gaza possa degenerare in un conflitto diretto tra Iran e Israele, la seconda è che l'accordo sul nucleare, che scadrà nell'ottobre del prossimo anno, possa essere completamente cancellato durante una possibile presidenza di Trump, lasciando l'Iran a briglie sciolte.

Laura Holgate, l'inviata degli Stati Uniti presso l'Aiea, ha chiesto a Grossi - come scrive The Guardian - un rapporto definitivo sulla conformità nucleare dell'Iran prima della prossima riunione del consiglio di giugno, quando un gruppo creato ad hoc, l'E3 Gran Bretagna, Francia e Germania dovrà prendere in considerazione ulteriori sanzioni tramite l'Onu.

Intanto Teheran insiste sulla volontà di negoziare una nuova versione dell'accordo del 2015 e i colloqui con il viceministro degli Esteri iraniano, Ali Bagheri e gli interlocutori europei continuano.

In questo difficile contesto geopolitico regionale bisogna agire in fretta e l'Occidente deve mettere in atto tutti gli strumenti di deterrenza possibili affinché l'Iran non arrivi a costruire l'arma nucleare, un'eventualità dai risvolti catastrofici perché la proiezione della Repubblica Islamica nella regione si estende al di là della sua sfera d'influenza propriamente detta e si regge sul sistema dei clientes: Hezbollah in Libano, Bashar al-Assad in Siria, Hamas a Gaza, Huthi in Yemen e varie milizie sciite che, come cani sciolti, sono sparsi in tutta l'area mediorientale. Cosa succederebbe se anche queste pedine avessero in mano il nucleare fornito dal loro dante causa? Non bisogna mai perdere di vista la strategia "imperiale" di Teheran: realizzare l'obiettivo di costituire una mezzaluna sciita che colleghi l'Iran al Mediterraneo, passando da Iraq, Siria e Libano. Insomma, attraverso tale corridoio, diventare, in Medio Oriente, la grande potenza in grado di sfidare gli avversari dell'altro asse centrato sull'Arabia Saudita ed esteso a Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Giordania, i cosiddetti Paesi arabi moderati che vogliono limitare la proiezione regionale di Teheran e hanno firmato o stavano cercando di firmare (Arabia) gli Accordi di Abramo con Israele.

Dopo il Covid, che pensavamo fosse la sciagura più grave del nuovo millennio, eravamo convinti che ci aspettassero tempi di pace, invece il caos mondiale delle due guerre in Ucraina e a Gaza ci ha catapultati, di nuovo, nella corsa al riarmo. Ieri Putin ha dichiarato, per l'ennesima volta, che i russi dal punto di vista militare sono pronti per una guerra nucleare e ha minacciato, questa vola, la Finlandia con l'invio di sue truppe ai confini. Corsa al riarmo che, sollecitata dalla paura, è un indicatore del peggioramento delle aspettative sul futuro e a pagarne le conseguenze sono e saranno ancora una volta i giovani.

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