La paralisi dei partiti ​senza idee e candidati

di Adolfo Scotto di Luzio
Domenica 28 Febbraio 2021, 00:04 - Ultimo agg. 08:00
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Il vincolo è doppio: non ci sono i candidati e forse non ci sono neppure le elezioni (almeno non alla data prestabilita). La concomitanza di queste due circostanze appare così clamorosa che viene quasi il dubbio che l’incapacità dei partiti di esprimere proposta politica e nomi costituisca il fattore determinante, ben più della pandemia, dell’ipotesi di rinvio dell’appuntamento elettorale per il rinnovo delle amministrazioni locali; a settembre, se non addirittura ad ottobre. 

A Roma come a Napoli, l’epicentro di questa indecisione è il collasso dell’alleanza Pd-M5S e gli smottamenti che sta producendo nelle rispettive strutture di direzione. Non che a destra le cose stiano in condizioni migliori, ma è evidente che la partita decisiva si giochi tra la capitale e il capoluogo campano, vale a dire sul terreno effettivo di verifica della nuova formula a cui la sinistra sembra aver affidato le sue residue possibilità di tenuta dinanzi al temuto giudizio elettorale. Napoli in particolare, se bisogna far fede alla determinazione grillina di sostenere la Raggi a Roma (e nonostante i tentativi di Zingaretti di allargare la maggioranza alla Regione Lazio), rappresenta l’ultima trincea dell’intergruppo costituito alla Camera per dare forza e spessore alla partecipazione dell’ex maggioranza contiana al nuovo governo Draghi. Dunque è a Napoli che bisogna guardare.

Ebbene, qui le cose appaiono più ingarbugliate che mai. La decisione di Bassolino di rompere gli indugi e di annunciare la propria candidatura ha rivelato innanzitutto il vuoto clamoroso di elaborazione e di iniziativa politica del Pd.

Incapaci di stabilire i termini di un confronto politico con l’ex sindaco di Napoli, che ora tutti cercano di ridurre alla persona fisica di Antonio Bassolino, un individuo con la sua storia, quasi una sorta di cameo nel film delle elezioni amministrative, messi di fronte alla sua discesa in campo i dirigenti napoletani del Pd appaiono come un gruppo di maldestri apprendisti stregoni ripiegati sul manuale delle proprie alchimie. 

Alla semplice domanda, chi volete candidare?, chi è il vostro sindaco?, la risposta tipica assomiglia a qualcosa del genere: bisogna avviare un’ampia discussione collettiva che sia innanzitutto una discussione sul metodo con cui avviare la discussione. 

In questo trionfo di verbosità e di rituali politicisti, ritardare le elezioni a causa del contagio appare l’occasione migliore per “comprare tempo”, come dicono i tedeschi. Nella speranza, intanto, che il quadro si chiarisca e che si sciolga il nodo “Cinque stelle sì, Cinque stelle no”. Ma come dicevo a destra le cose non vanno meglio. Su questo lato del fronte, tutti discutono di un candidato che fino a questo momento non si è ancora candidato, tanto da permettere al Consiglio superiore della magistratura di glissare sulla questione tutt’altro che irrilevante di un pubblico ministero che diventerebbe sindaco della città dove ha esercitato le sue funzioni.

C’è però un’altra considerazione che si può fare. Al di là delle obiezioni, ripeto tutt’altro che irrilevanti, alla candidatura di Catello Maresca, un aspetto di queste fantomatiche elezioni amministrative a Napoli colpisce ed è il seguente. 

I nomi di cui si discute e su cui legittimamente ci si divide, Maresca appunto e il succitato Bassolino, non provengono da nessun partito. Se la storia politica di Bassolino è sicuramente corposa e inaggirabile è anche vero che da molto tempo l’ex dirigente ingraiano del Partito comunista, nonché tra i fondatori dell’attuale Pd, ha smesso di essere un politico di professione. Non ha incarichi pubblici, non è eletto, non è dirigente di partito. Anzi, da questo punto di vista, è a tutti gli effetti un ex che il Pd ha pervicacemente prodotto in questa sua nuova qualità, appunto di ex. Maresca, dal canto suo, è uno stimato magistrato, vicino a Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, ma nei modi della partecipazione ad un’area di opinione non certo nelle forme del professionismo politico. Sono, in modi molto diversi l’uno dall’altro, esponenti di quella che si chiama la società civile. Due modi differenti ripeto di interpretare il ruolo di chi decide di mettere le proprie competenze al servizio della città. Questo comporterà molto probabilmente che la loro partecipazione alla competizione elettorale assumerà la forma della lista civica. Vale a dire della mobilitazione di energie e risorse pescate ampiamente al di fuori del perimetro dei partiti. Due outsider che correranno costringendo i partiti a mettersi sulla scia o per sostenerli o per cercare di contrastarne il percorso. Ma in nessuno dei due casi nel ruolo di protagonisti e di attori principali. Al di là del giudizio che ciascuno di noi può avere di questi partiti, a colpire nel panorama elettorale napoletano è proprio questa massima concentrazione di passioni politiche fuori dal recinto delle forze organizzate. 

A dieci anni dalle elezioni che portarono Luigi de Magistris a Palazzo San Giacomo nel 2011, la sfera politica pubblica appare oggi a Napoli più che altrove completamente svuotata, del tutto priva di energie psicologiche e intellettuali. È una questione sulla quale bisognerebbe riflettere. È una questione che certo viene da lontano e che rimonta ben oltre l’ultima stagione arancione che ne è, piaccia o meno, tra i suoi figli legittimi. È una questione, da ultimo, che riporta proprio a quel partito personale che a Napoli prima che nel resto del paese fece le sue prove con la candidatura proprio di Antonio Bassolino a sindaco della città nel lontano 1993. Se trent’anni dopo siamo al punto di partenza ciò accade perché a Napoli più profonda che nel resto del Paese è stata la crisi delle culture politiche della Repubblica. In questi trent’anni nessuno ha mai voluto affrontare seriamente la questione. E allora eccoci qui di nuovo, punto e a capo.
 

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