Casmez, post-terremoto e fondi Ue: ​tutti gli errori da non ripetere al Sud

Casmez, post-terremoto e fondi Ue: tutti gli errori da non ripetere al Sud
di Nando Santonastaso
Martedì 1 Giugno 2021, 00:00 - Ultimo agg. 2 Giugno, 07:50
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La Legge per l’intervento straordinario nel Mezzogiorno, poi quella per la ricostruzione dopo il terremoto dell’Irpinia. E ancora la legge per l’imprenditorialità giovanile, quella dei Patti territoriali, la nuova programmazione economica con i Fondi strutturali europei e la politica di coesione, fino al credito d’imposta e alla riserva del 34% della spesa ordinaria. In poco meno di 70 anni le norme riservate, almeno inizialmente, al Sud non sono mai mancate. Straordinarie per lo più, e spesso sostitutive sul piano della spesa dei mancati investimenti ordinari dello Stato. Ma di sicuro tutte avevano (e hanno) in comune un bilancio in chiaroscuro, visto che l’obiettivo di ridurre il divario e allineare il Meridione alle medie nazionali è stato mancato o solo in parte sfiorato. Infinite le ragioni, illimitato il dibattito sulla questione meridionale dal secondo dopoguerra ad oggi. Ma di sicuro quella storia è un dato da cui non si può prescindere ora che si respira di nuovo aria di ripresa nel Paese, grazie alle vaccinazioni, e che per il Mezzogiorno si annunciano misure e risorse forse mai così ingenti, tra Pnrr, React Eu, Fondi strutturali e Fsc. 


LA CASMEZ
Dal 1951 al 1986 è stato di fatto l’Intervento straordinario a dominare la scena in chiave Sud. «Quello che in fondo è oggi il Pnrr, con la non trascurabile differenza però che questo non ha strumenti ordinari mentre l’altro aveva la Cassa del Mezzogiorno, con la piena autonomia di pianificare e progettare gli interventi» sottolinea l’economista Adriano Giannola.

Per la prima volta dall’Unità d’Italia, tra il 1957 e il 1974, il divario scende dal 53% al 34%, i tassi di disoccupazione si allineano a quelli del Nord, il recupero del Pil meridionale non ha precedenti (e non avrà purtroppo seguiti). Per una stagione troppo breve, sviluppo locale e industrializzazione esterna si alimentano a vicenda e questa spinta avallata dalla politica impone alle Partecipazioni Statali anche il vincolo di spesa del 40% al Sud. Finì per tanti motivi, quella svolta, alimentata da circa 1.500 miliardi delle vecchie lire: la crisi petrolifera del ’74, l’avvento delle Regioni, la legge 675 che consentì alle industrie del Nord di riconvertirsi e di rinunciare così agli investimenti al Sud, la debolezza dell’idea dello sviluppo autopropulsivo sostenuta da tanti studiosi, gli appetiti della corruzione, per citarne solo alcuni e tutti ovviamente da approfondire.


IL TERREMOTO 
Dalla tragedia dell’Irpinia nasce nel 1981 la legge 219 per la ricostruzione delle aree terremotate, la scommessa meno riuscita, travolta dalle polemiche e dalle inchieste giudiziarie. La Commissione parlamentare presieduta da Oscar Luigi Scalfaro parlò nel 1992 di «uno spreco di 60mila miliardi di lire». Molti, troppi approfittarono della corsia preferenziale della legge che garantiva il 75% a fondo perduto delle risorse concesse dallo Stato e, chissà perché, finirono anche a paesi di Puglia e Lazio che con il sisma non c’entravano nulla. C’è chi da tempo sollecita una revisione delle conclusioni della Commissione: l’industrializzazione nelle aree del cratere, si osserva, è oggi una realtà (non priva peraltro all’inizio di scelte discutibili) e la ricostruzione di molti piccoli centri ha dato una risposta alla tendenza allo spopolamento iniziata ben prima del sisma. La ferita però rimane, irrorata dalla narrazione che associa il Sud anche per questo ad una terra di criminalità e, appunto, di spreco.

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L’IMPRENDITORIA JUNIOR
È di pochi anni dopo, il 1986, la legge 44 per incentivare l’imprenditorialità giovanile, la legge voluta da Salverino De Vito, allora ministro irpino del Mezzogiorno. Era riservata, anche questa, solo al Sud, con Carlo Borgomeo, oggi presidente di Fondazione con il Sud e fino al 2000 alla guida dei comitati attuatori della legge, che ne ha sempre sottolineato e difeso il valore innovativo. Circa 1200 le imprese avviate con un sufficiente tasso di sopravvivenza. Ma l’idea che lo sviluppo potesse nascere dai territori, specie dopo che le grandi imprese avevano abbandonato il Sud al suo destino, si è rivelata fragile. L’effetto indotto che pure era nato dagli investimenti decisi e progettati dalla Casmez (in particolare nei periodi 1965-69 e 1970-74, ricorda Giannola) era già evaporato quando nacque la 44, sottoposta peraltro ad una serie di restyling nel corso degli anni con la nascita di IG, Sviluppo Italia e dell’attuale Invitalia e la sua estensione anche fuori dal Mezzogiorno.


I FONDI EUROPEI
Da quando è stata rivista e modificata la politica di programmazione economica (1998, decisivo il ruolo di Fabrizio Barca), nel riparto dei fondi strutturali europei – uno degli architravi della politica di coesione - la quota maggiore è sempre stata destinata al Sud per via dei ritardi di sviluppo accumulati negli anni. Lo impone la stessa Europa, del resto a tutti gli Stati membri. Lo stesso accade per il Fondo sviluppo coesione (ex Fas) per il quale però la percentuale è molto più ampia per il Sud (80%). A 25 anni di distanza dall’avvio dei cicli di programmazione Ue, però, il ritardo del Mezzogiorno non è stato colmato: peggio, è l’unico rimasto tra gli squilibri regionali dell’intera Unione. Anche se non tutti sono d’accordo, è innegabile che il crollo degli investimenti pubblici al Sud degli ultimi 15 anni ha quasi obbligato gli enti locali a utilizzare i fondi europei in sostituzione. Con il Pnrr non sarà più possibile e non solo perché i tempi di spesa sono decisamente più contratti: stavolta chi non spende non avrà i soldi. Se è vero che l’Italia riparte solo se riparte il Sud, non perdere l’occasione è interesse stavolta di tutti.
 

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