I paletti e l'asticella
da alzare

di ​Mauro Calise
Giovedì 22 Agosto 2019, 00:00
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Il documento di Zingaretti con cui si apre la trattativa tra Pd e Cinquestelle ha il merito di essere stato approvato all’unanimità. Almeno per i prossimi giorni, dovrebbe essere messa la sordina alla faida tra renziani e antirenziani. Anche se non c’è da farsi illusioni. La principale preoccupazione del segretario Pd resta quella che, dopo pochi mesi, l’ex-premier stacchi la spina al nuovo esecutivo.

Ed ancora: che Renzi, fattosi il fatidico – e fantomatico – suo partito personale, vada dritto alle urne. È una strana preoccupazione. Non si capisce perché mai Renzi, una volta ripresa la scena e una certa centralità parlamentare grazie ai gruppi Pd che oggi controlla, butterebbe tutto a mare per farsi un partitino del 7-8%. Per giunta, con l’approssimarsi delle elezioni al Quirinale. Che è la vera partita per la quale – giustamente – Zingaretti oggi chiede un governo che duri almeno un paio d’anni. Ma, si sa, i fantasmi del passato sono costantemente in agguato. E, quanto a agguati, il senatore fiorentino ha dimostrato un’attrazione fatale.

Facendo finta che il problema Renzi sia, almeno per il momento, congelato, il vero nodo che Zingaretti deve sciogliere non riguarda l’autocritica dei Cinquestelle, ma quella del proprio partito. Se davvero dovesse esserci una ripartenza, non possono essere soltanto i grillini a rivedere – sacrosantamente – le scelte fatte in questi quindici mesi. Sul banco degli imputati ci sono anche quelle che il Pd ha sostenuto nei cinque anni in cui – con Letta, Renzi e Gentiloni – ha retto le sorti del paese. Se tutto è andato per il verso giusto, come si spiega il clamoroso capitombolo alle elezioni del marzo 2018? Come e perché si è spezzato, in modo così drammatico e in misura così eclatante, il rapporto coi ceti popolari che hanno scelto di votare in massa o per la Lega o per i Cinquestelle? Quali sono le istanze che i grillini sono riusciti ad intercettare, e a strappare alla protesta di piazza convogliandole – a modo loro – verso una scelta di governo? Se davvero si vogliono mettere le basi di una condivisione duratura, andrebbero riconosciuti ai grillini – accanto ai molti errori – anche alcuni importanti meriti.

Basta pensare ai consensi raccolti nelle regioni del Sud, sistematicamente trascurate dai governi Renzi e Gentiloni. E anche se la ricetta assistenziale sfornata dai Cinquestelle non è risolutiva, può essere uno sprone a intervenire con ancora maggiori mezzi per tamponare una situazione sociale insostenibile. Sempre in tema di Sud, è solo grazie al niet di Fico e Di Maio che non è – ancora – passata la tagliola dell’autonomia che porterebbe a una spaccatura – economica e culturale – del paese. Una tagliola che – è bene ricordarlo – è stato possibile innescare solo grazie alla funesta riforma del titolo quinto varata dal centrosinistra.

L’altro riconoscimento doveroso al movimento Cinquestelle è il radicale rinnovamento del ceto parlamentare. Si sono sprecate le ironie sull’impreparazione e l’improvvisazione dei neo-eletti, soprattutto quando chiamati a delicate responsabilità ministeriali. Ma, con tutta la loro esperienza e professionalità, i governanti Pd – e più in generale i loro omologhi europei – non sono riusciti ad evitare lo scollamento con l’elettorato che sta mettendo a repentaglio le democrazie occidentali. Forse, questa ventata di outsider potrebbe diventare uno stimolo per le vecchie elite a rivedere alcune loro certezze. Comunque, un pungolo perché anche il Pd si presenti – finalmente – con qualche faccia nuova. Al momento, il rinnovamento zingarettiano è sostenuto ancora prevalentemente da vecchi capicorrente buoni per tutte le stagioni.

Infine, se davvero si vuole andare a un’intesa e sbarazzare il campo dagli alibi reciproci, la constatazione di partenza dovrebbe essere che – piaccia o meno – siamo in un regime proporzionale. In cui, per governare, occorre allearsi con qualcuno. La situazione non cambierebbe se si andasse, tra pochi mesi, al voto. Anzi, peggiorerebbe. Perché, inevitabilmente, i due partiti sparerebbero l’uno contro l’altro durante tutta la campagna elettorale. Quindi, coi numeri che si ritrovano, il rospo prima l’ingoiano meglio è. A meno che l’auspicio inconfessabile non sia di essere tolti dall’imbarazzo di un accordo, se Salvini – come è più che possibile – si prendesse la maggioranza da solo.
 
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