«I Pink Floyd a Pompei? La nostalgia è feroce»

di Andrea Spinelli
Sabato 2 Luglio 2016, 02:22
5 Minuti di Lettura
È il tour della grande bellezza: il circo Massimo stasera, l’Anfiteatro romano il 7 e l’8 luglio, l’Arena di Verona il 10 e l’11 luglio. David Gilmour entra al ministero dei Beni culturali mano nella mano con la moglie Polly Samnson, autrice di testi per lui e per la sua ex band: «Italia, quanta bellezza...», conferma e, subito, il pensiero gli corre allo storico «Pink Floyd at Pompeii»: «Sono giorni che ricordo con nostalgia, e sogno: vorrei potermi concedere una passeggiata all’alba tra le rovine deserte... degli anni Settanta e di quel concerto, mi piacerebbe rivivere quella emozione».

Al secondo piano del Collegio Romano Franceschini riceve la coppia, conquistata dallo storico palazzo romano che fu dei gesuiti, dalle librerie secentesche, i quadri, le stanze nobili del dicastero della cultura italiano. Tra un selfie e una dichiarazione da fans il ministro fa da Cicerone, apre le porte della sala delle crociere, risponde alle domande del suo ospite sulla gestione del patrimonio d’arte: «È giusto che lo Stato se ne occupi», lo incalza il chitarrista. Con loro Massimo Osanna, soprintendente di Pompei, dove il rocker è atteso anche da una mostra fotografica sullo storico film di Adrian Maben. Per Franceschini è un sogno che si realizza: appena nominato alla Cultura, sognava di ospitare a Pompei la reunion del gruppo. Missione impossibile, ma la lettera che allora partì da Roma ha portato Gilmour a Pompei, e al ministero: «Lei lo sa che per questo incontro sarò invidiato da generazioni di fans?».
«David non sta nella pelle al pensiero di essere la prima persona dai tempi dei gladiatori a ricevere l’applauso del pubblico dell’anfiteatro di Pompei». La voce di Polly Samson si fa febbricitante nel raccontare i sentimenti del marito a pochi giorni dal ritorno nella cornice incantata dove girerà un nuovo film e registerà un cd e un dvd dal vivo.
«Trova fantastico tornare lì dopo 45 anni, per di più con un pubblico pagante del tutto assente ai tempi di “Pink Floyd at Pompei”. Inutile dire che è pure felicissimo della cittadinanza onoraria che gli sarò concessa».
Polly è a Roma anche per presentare «La gentilezza» («The kindness»), il suo primo romanzo tradotto in italiano, la giornalista e scrittrice inglese è un fiume in piena nel ricordare l’ultima visita campana. 

È già stata agli scavi prima d’ora, signora?
«Sì, con David siamo andati otto anni fa. Ci trovavamo ad Ischia e organizzammo a Napoli e a Pompei un tour fantastico, grazie anche cortesia e alla bravura della nostra guida Francesco, che avrà avuto si e no vent’anni. Amo i romanzi di Elena Ferrante ambientati a Napoli e, grazie a lei, sono sicura che questa volta vedrò la città con occhi diversi da quelli del passato». 

Che cosa prova davanti al mito di Pompei?
«Con la sua immane tragedia Pompei m’ispira grande tristezza, ma anche l’incontenibile curiosità di entrare in contatto con il mondo romano esattamente così com’era. Grazie allo splendore dei ritrovamenti, visitare Pompei è come entrare in una bolla temporale». 

E David che rapporto ha con quel suo brandello di passato?
«Quando andammo a Pompei, tra i ruderi di quell’Anfiteatro così legato alla memoria dei Pink Floyd, che mi confidò che se avesse mai avuto l’opportunità di risuonare lì, l’avrebbe fatto con Rick Wright. Il destino, purtroppo, ha disposto diversamente. Ed è per questo che il concerto è dedicato a Wright, la cui scomparsa ha chiuso definitivamente la storia dei Pink Floyd. Mio marito considererebbe infatti un sacrilegio l’idea di una reunion senza di lui».

Pompei è patrimonio della storia dell’umanità. Cosa prova davanti agli individualismi del Brexit?
«Per noi, europei per cultura, per formazione, per senso di appartenenza, è stato uno shock tremendo. Eravamo in Polonia quando c’è stato il referendum. David mi ha svegliata nel cuore della notte dicendo: è un disastro». 

Da ventitré anni la vostra è una continua luna di miele.
«David è una persona buona, ma anche gentile, che sa infondere grande sicurezza. Tutto il contrario di me. Se qualcuno gli chiedesse quale è l’aspetto del mio carattere che trova più frustrante, risponderebbe probabilmente: l’incapacità di lasciarmi andare completamente e di godermi la vita». 

«La gentilezza» è dedicato a suo marito, che l’ha voluta nel suo ultimo album, «Rattle that lock», come autrice di testi. Quindi tra voi funziona bene anche nel lavoro?
«Sì, io entro nella musica di mio marito come lui nella mia scrittura. Anzi lo considero quasi un coautore dei miei romanzi. Proprio per sottolineare questa sinergia nel libro gli ho reso un piccolo omaggio rubando alcune parole di “Sorrow”, una canzone dei Pink Floyd in cui dice che uno si sveglia al mattino senza alcun motivo per svegliarsi. Anche se il legame più stretto tra disco e libro sta forse nei riferimenti a “Il paradiso perduto” di Milton». 

C’è chi dice che le canzoni sono romanzi di tre minuti. Concorda?
«Nell’ultimo album di David c’è “The girl in the yellow dress” che sicuramente è una novella breve, al contrario delle altre canzoni che invece scavano più nel subconscio».

Cambia qualcosa nella sua scrittura quando compone testi per i dischi solisti di David e quando lo fa per i Pink Floyd?
«Il fatto che David sia anche il leader della band, annulla qualsiasi differenza». 

A proposito, due anni fa un suo tweet ha annunciato al mondo il nuovo album dei Pink Floyd «The endless river». È stata una svista o l’ha fatto apposta?
«C’era dell’intenzionalità. Quando io e David abbiamo scoperto che il titolo stava per uscire sul “Sun” ci è sembrato grave che, dopo la brutta storia delle intercettazioni, fosse un giornale di Murdoch a pubblicare la notizia. Così abbiamo preferito darla noi».
© RIPRODUZIONE RISERVATA