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Il cinismo elettorale a spese degli italiani

di Alessandro Campi
Articolo riservato agli abbonati
Venerdì 25 Novembre 2022, 00:13 - Ultimo agg. : 06:00
5 Minuti di Lettura

Colpevole o innocente, la questione riguarda solo la giustizia italiana e la coscienza di Aboubakar Soumahoro. La prima, anche quando procede in modo imparziale, ha i tempi biblici che conosciamo. La seconda, dimensione troppo intima, è difficile da penetrare. Limitiamoci dunque a ragionare degli aspetti pubblico-politici e di (cattivo) costume della vicenda – umanamente penosa con tratti di grottesco – che ha investito il neo-deputato della sinistra radicale: l’ultimo idolo, già infranto, di una sinistra che non ne azzecca una da anni. 

Cominciamo da quelli che lamentano un indecoroso linciaggio mediatico a danno di un coraggioso combattente al fianco dei deboli e degli sfruttati.

Accanimento strumentale contro una persona perbene? Sarebbe facile stendere l’elenco dei politici perbene che, in questi ultimi decenni, hanno visto la carriera distrutta o l’immagine compromessa per sempre da un semplice sospetto, da un vento di calunnia dimostratosi poi inconsistente. Ma evidentemente la nostra memoria pubblica è ormai breve e selettiva come quella dei criceti.

Motivo, si dirà, per perseverare nella pratica barbara dello stillicidio di insinuazioni a mezzo stampa? Certo che no, anche se appare biasimevole e sospetto il ricorso al registro colpevolista o innocentista a seconda delle occasioni. È la politica cosiddetta della doppia morale: intransigenti con i nemici senza aspettare sentenze o condanne, comprensivi con gli amici sempre e comunque.

Matteo Renzi non poteva non sapere ciò di cui erano accusati i suoi genitori – dicevano all’epoca i detrattori mediatici del “bullo di Rignano” (come amabilmente lo definivano). Applicando lo stesso criterio di valutazione anche Aboubakar Soumahoro non può non sapere – forse a maggior ragione – ciò che facevano la moglie e la suocera. Il garantismo è un principio di civiltà. Invocato in modo intermittente, è un espediente retorico truffaldino.

Ma gli aspetti interessanti (e conturbanti) di questa vicenda sono altri. Come si costruisce un falso mito? E perché si finisce per credervi? Si coglie bene, nel caso di Soumahoro, cosa sia la crisi della politica odierna. Costretta a inseguire sempre più la popolarità mediatica (costruita tra social e talk show) e a utilizzarla come strumento per un facile consenso. Facile ma sovente effimero e precario.

Stampa e televisione del coté progressista hanno letteralmente inventato Aboubakar Soumahoro come campione della lotta contro lo sfruttamento e per i diritti. Alla sinistra antagonista o radicale, da tempo in panne e in crisi di idee, serviva un eroe immacolato per un guizzo d’immagine in vista del voto. Qualcuno che simboleggiasse al meglio, sul piano del racconto pubblico, la divisione dell’universo politico in fronti netti: il bene e il male, il cinismo e l’indifferenza contro l’empatia e lo spirito di rivolta morale. Uomini e no. Aboubakar Soumahoro è parso la scelta perfetta. C’erano, apprendiamo oggi, voci non benevole che già circolavano su lui e il suo stretto entourage, ma evidentemente ha contato di più il lucro elettorale che grazie al suo nome e alla sua biografia ben confezionata si poteva realizzare. 

Il cinismo e l’opportunismo di una frangia partitica spiegano dunque la sua ascesa repentina a simbolo politico (quante emozioni ha scatenato in molti la foto del suo ingresso nel Palazzo con gli stivali sporchi di fango e il pugno chiuso in segni di lotta!). Ma mettiamoci anche una buona dose di colpevole superficialità e di frettolosità politica. In realtà, non ci voleva molto a cogliere il fondo di mitomania e di teatralità ad uso del pubblico progressista che emanava dalle uscite pubbliche di Aboubakar Soumahoro. Troppo sicuro di sé e assertivo, troppo calato nel ruolo, perfetto nella dizione, sempre le parole e i toni giusti, una grande presenza scenica. Chi non ha pensato, sentendo ad esempio la sua autodifesa in televisione, ad una recita a soggetto priva di autenticità? Ma serviva, come detto, un racconto moralmente edificante e dunque nessuno si è preoccupato di verificarne la trama, di indagarne i protagonisti e di chiedersi quale potesse essere il vero finale della storia. Doveva essere lieto, potrebbe rivelarsi drammatico, di certo sarà ridicolmente tragico.

In questa vicenda sono poi emersi ben evidenti tutti i limiti culturali di un certo antirazzismo ideologico, paradossalmente speculare al razzismo che si vorrebbe combattere. Se è vero infatti che la destra reazionaria e xenofoba vede nello straniero una minaccia esistenziale a prescindere, è altresì vero che la sinistra umanitaria e cosmopolita nello straniero tende a vedere una fonte di salvezza e redenzione a prescindere. In entrambi i casi, alle persone in carne e ossa, coi loro vizi, con le loro virtù, con le loro inevitabili contraddizioni, si finisce per preferire dei simboli, delle astrazioni, delle forme sociali disincarnate. Razzismo e antirazzismo si somigliano nella misura in cui inchiodano gli esseri umani ad un ruolo e a un destino solo per il colore della loro pelle. Cattivo e pericoloso perché nero. Buono e innocente perché nero. In fondo con c’è differenza.

Infine, da tutta questa storia è emersa l’evidenza sgradevole che l’accoglienza degli immigrati, un dovere politico-civile, un obbligo morale al quale una comunità politica non può sottrarsi, per alcuni rappresenta invece un lucroso affare. Al fianco degli immigrati non ci sono soltanto i volontari e i professionisti che si prodigano con molti impegno e pochi mezzi, ci sono anche gli sfruttatori travestiti da benefattori. Fare un po’ di pulizia nella galassia del solidarismo sarebbe, dopo questo ennesimo polverone, nell’interesse di chi presta generosamente soccorso, sostegno e ausilio al prossimo in fuga dalla miseria.

Ieri, dopo un paio di giorni di psicodramma, trascorsi tra riunioni e faccia a faccia, è arrivata l’autosospensione di Aboubakar Soumahoro dal gruppo parlamentare Alleanza Verso-Sinistra. Per “rispetto delle istituzioni”, con le parole del comunicato che ha annunciato la decisione. In realtà si tratta degli affari interni di un partito, di una soluzione ai tormenti di Enrico Bonelli e Nicola Fratoianni che per i cittadini non presenta però alcun interesse. Senza contare che l’autosospensione è in Italia il placebo delle dimissioni: dà l’illusione di sortire lo stesso effetto, in realtà è forma senza sostanza. Aboubakar Soumahoro è ormai parlamentare della Repubblica a spese dei contribuenti italiani. Lo hanno eletto per dare voce agli ultimi, di grazia se riuscirà a convincerci, da qui alla fine della legislatura, di non essere l’ennesimo impostore apparso sulla scena politica nazionale. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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