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No ribaltoni e premierato: dove ci porta la riforma

di Tommaso Frosini
Articolo riservato agli abbonati premium
martedì 23 gennaio 2024, 06:00
3 Minuti di Lettura

La presentazione di un progetto di legge, costituzionale o legislativo che sia, determina l’avvio di una discussione parlamentare. Dove si confrontano e si contrappongono le opinioni e le soluzioni della maggioranza e dell’opposizione, anche attraverso la presentazione di emendamenti modificativi e migliorativi del progetto iniziale. È quanto sta avvenendo sul disegno di legge di riforma costituzionale del premierato. Sono state svolte, in commissione al Senato, numerose audizioni di esperti.

Dopo di queste la maggioranza parlamentare ha preso atto di alcune criticità del progetto e si accinge a modificarlo. Si tratta di alcuni profili della riforma che sollevano dubbi applicativi: in particolare, la previsione del sistema elettorale in Costituzione e la cosiddetta norma antiribaltone, che consente la sostituzione del primo ministro eletto dai cittadini con un parlamentare, sia pure appartenente allo stesso schieramento politico. Sulle pagine di questo giornale e in audizione, ho suggerito io stesso la semplificazione di questi profili, al fine di rendere il sistema del premierato costituzionalmente omogeneo e razionale. Aggiungo che sarebbe opportuna anche una modifica lessicale, quella di “primo ministro” in luogo del “presidente del consiglio dei ministri”.

Eliminare il riferimento alla legge elettorale in Costituzione vuol dire evitare una rigidità della stessa, la cui modifica in futuro sarebbe soggetta alla complessa e complicata procedura di revisione costituzionale. Vi è un famoso precedente storico, che può valere come esempio: la costituzione della repubblica di Weimar (1919), che prevedeva il sistema elettorale proporzionale in costituzione. La fine di quella Repubblica fu determinata anche dalla impossibilità di ottenere una doppia votazione parlamentare che cambiasse la norma costituzionale sul sistema elettorale, per favorire il formarsi di una nuova maggioranza politica in grado di governare. Quindi, conviene riservare alla legge ordinaria la disciplina del sistema elettorale, salvo indicare in costituzione il principio generale di rappresentatività e governabilità, che può essere declinato dal legislatore a sua discrezione.

Eliminare la norma antiribaltone vuol dire evitare che il voto popolare per il primo ministro possa essere tradito, consentendo la scelta di uno nuovo, sia pure appartenente alla stessa maggioranza politica dell’ex premier, privato di legittimazione elettorale. In spregio a quanto voluto dai cittadini e in contraddizione al sistema del premierato. La soluzione per ovviare a questo problema è già conosciuta nel nostro sistema istituzionale. È quella prevista nella forma di governo comunale e regionale, che è riassumibile con la formula latina del “simul stabunt simul cadent”. Cioè esecutivo e legislativo nascono e finiscono insieme. Se il Parlamento dovesse votare la sfiducia al primo ministro si autoscioglierebbe, in modo tale da tornare al voto per eleggere, in contemporanea, governo e Parlamento. Un’altra soluzione può essere quella di affidare, in via esclusiva e in caso di crisi, il potere di scioglimento delle Camere al primo ministro. Come avviene in Inghilterra, patria del premierato (sia pure non elettivo).

Infine, si può pensare anche a eliminare la fiducia iniziale che il primo ministro dovrebbe ottenere dal Parlamento. La fiducia, infatti, l’ha avuta dagli elettori e quindi non è necessario averla anche dalle due camere, che si dà per presunta. Semmai, il primo ministro potrà presentare in parlamento le linee programmatiche del suo governo.
Ci sarebbero altre proposte emendative ma è meglio non esasperare troppo la riforma, ché la sua specificità sta nell’essere minimale, chirurgica. In modo tale che, qualora ci dovesse essere il referendum confermativo, i cittadini sappiano in modo chiaro e semplice cosa votare.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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