Il regionalismo differenziato in epoca digitale

di Stefano de Falco
Giovedì 5 Dicembre 2019, 23:00 - Ultimo agg. 6 Dicembre, 06:45
4 Minuti di Lettura
Se c’è una caratteristica particolarmente attribuibile a quest’epoca è quella della dicotomia parossistica. Evidenti contraddizioni in ambiti diversi non appaiono più stridenti in questa nube governata dal paradigma del “tanto tutto e il contrario di tutto” è possibile.

Veniamo ad un caso particolare. Quello del regionalismo differenziato. Pronta la proposta del ministro Boccia riguardante i cosiddetti LEP, Livelli Essenziali delle Prestazioni, da garantire su tutto il territorio nazionale. Il documento, contenente le indicazioni richieste dal Mef, sarà presentato come collegato alla manovra in forma di emendamento, avendo intercettato primi segnali positivi dopo una prima ricognizione con un’informativa del ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie alla Conferenza delle Regioni.

La narrazione prevalente di questi recentissimi anni dominata dal karma digitale ha raccontato di una disintegrazione di vecchi schemi territoriali, in ragione di una nuova geografia mondiale virtuale in cui i confini fisici sono sovvertiti dai confini tecnologici. Qualcuno l’ha interpretata come una rivoluzione dirompente rispetto ai precedenti 500 anni fatti risalire alla pace di Vestfalia del 1648 che pose fine alla cosiddetta guerra dei trent’anni e inaugurò un nuovo ordine internazionale, in cui gli Stati si riconoscevano tra loro proprio e solo in quanto Stati, al di là della fede dei vari sovrani. 

In questa cornice ritorna invece attuale il tema delle autonomie, anche se già l’articolo 116, comma 3, della Costituzione prevede che la legge ordinaria possa attribuire alle regioni «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» sulla base di un’intesa fra lo Stato e la regione interessata, tuttavia, la strada aperta in occasione del riordino del Titolo V della Costituzione, nel 2001, non è mai stata realmente perseguita fino allo scorso febbraio 2018, quando, a seguito delle richieste regionali, sono stati firmati i primi accordi nella disciplina di materie concorrenti.

Dal punto di vista delle valutazioni degli addetti ai lavori, sono ravvisabili ancora tesi alquanto discordanti. Se da un lato, infatti, il decentramento asimmetrico favorirebbe la sperimentazione di politiche pubbliche innovative sperimentate in alcune giurisdizioni e, in caso di riscontro positivo, la replica in altri contesti, dall’altro la contingenza legata ad un contesto di informazione imperfetta, comporterebbe esternalità positive di carattere informativo sia a favore degli altri enti decentrati che dello Stato, creando aspettative distorte circa la reale efficienza raggiungibile.

Ancora una volta dunque sembra porsi il tema di una scelta indifferente e indipendente dalle traiettorie tecnologiche. Quello che sta accadendo nella società così come è definita da secoli, ossia basata su 4 caratteristiche fondamentali consistenti nel fatto di costituire una organizzazione politicamente centralizzata, economicamente complessa, socialmente stratificata e tecnologicamente avanzata, è che il livello tecnologico ha mostrato dinamiche di ordini di grandezza superiori rispetto agli altri con palesi sfridi e disallineamenti.

Certo non aiuta il benchmark con realtà totalmente diverse da quelle dello Stivale, come la città-stato di Singapore totalmente a governance centralizzata digitale, tuttavia una riflessione sul perseguimento di quella efficacia, di cui si è detto, attraverso roadmap tecnologiche da assimilare nelle azioni politiche andrebbe fatta, anche perché tra l’indifferenza e la sovranità digitale esiste un ampio spettro di frequenze intermedie di buon senso, al di là della contrapposizione tra questione separatista padana e questione meridionale. Inoltre, i processi politici, le motivazioni e l’oggetto stesso delle richieste effettuate non sono espressione di una visione unica e condivisa dalle amministrazioni regionali, in particolare delle tre che hanno sottoscritto gli accordi preliminari nel 2018, infatti la specificità della richiesta per l’Emilia-Romagna è stata la specializzazione, per la Lombardia l’autonomia e per il Veneto l’indipendenza. Pertanto, al progressivo deperimento delle forme di regionalismo territorialmente omogeno viene a contrapporsi un potenziamento delle forme di regionalizzazione asimmetrica e speciale, attraverso cui il territorio acquista un nuovo significato costituzionale in virtù del quale il principio di autonomia e le conseguenti funzioni si legano alla peculiarità di determinati territori e non derivano solo dal decentramento di poteri dallo Stato. 
L’annunciato incremento dell’efficienza dal percorso intrapreso di asimmetria territoriale deve, pertanto, fare i conti con l’impatto dell’aumento dei centri di spesa sulla frequenza di conflitti istituzionali oltre che sulla qualità istituzionale e sull’ampliarsi della spesa complessiva. 

In questa epoca digitale sarebbe dunque auspicabile il perseguimento di un regionalismo omogeneo in cui le specificità identitarie vengono neutralizzate attraverso l’attribuzione di comuni ambiti di competenza, formalizzabile e gestibile in maniera ottimizzata mediate piattaforme tecnologiche digitali centralizzate. Laddove, invece, un regionalismo identitario finalizzato alla integrazione di un determinato territorio all’interno dell’ordinamento generale e perseguito attraverso il riconoscimento delle sue specificità, favorirebbe esclusivamente un avvicinamento tra federalismo e regionalismo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA