Napoli a rischio mareggiata: ignorato l'allarme del 2009

Napoli a rischio mareggiata: ignorato l'allarme del 2009
di Paolo Barbuto
Mercoledì 30 Dicembre 2020, 00:00 - Ultimo agg. 14:24
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La zona dove l’altra sera il mare si è accanito, era stata segnalata come pericolosa già undici anni fa. Solo che in questi anni nessuno s’è messo in azione per cancellare quel rischio. 
La segnalazione di pericolo è contenuta in un documento, ormai polveroso, dell’ex Autorità di Bacino che risale al 2009. Si tratta di un’accurata indagine sui rischi ai quali sono sottoposte le coste dell’intera regione Campania: c’è una mappa (consultabile tutt’oggi) nella quale ogni metro della linea costiera viene analizzato e per ogni zona viene attribuito un grado di rischio. Via Partenope, nel punto in cui il mare ha provocato i danni maggiori, è inserita in una fascia di rischio chiamata “R3” e contrassegnata dal colore giallo. Nello specifico per il lungomare liberato si prevede “area di pericolosità da tracimazione e/o impatto delle opere di difesa”.

 

La segnalazione di allerta di colore giallo riguarda quasi tutta la fascia costiera cittadina, da Posillipo al Molosiglio, ed è contenuta in una delibera del luglio 2009 dell’Autorità di Bacino della Campania che è poi stata approvata con una delibera regionale del 2010, aggiornata anche nel 2011.
Ma cosa accade quando viene presentato un documento che segnala la possibilità di un pericolo in una zona della Regione? I tecnici spiegano che le segnalazioni vengono inviate ad ogni comune coinvolto che, a sua volta, è chiamato ad agire di conseguenza. Non esiste la possibilità di imporre interventi alle amministrazioni locali e non esistono sanzioni in caso di mancate contromisure: il percorso si ferma alla segnalazione, poi ogni comune è chiamato a prendere una decisione. Nel caso del Comune di Napoli la decisione semplicemente non è stata presa al momento della segnalazione e nemmeno negli anni successivi, sicché l’allarme è andato lentamente ad insabbiarsi fino a scomparire del tutto.

Per poi presentarsi sotto forma di mareggiata violenta l’altra sera.

 


Esistono linee guida generali alle quali è possibile attenersi nel caso in cui si riceva la segnalazione di una possibile area di rischio. In genere, però, i pericoli segnalati sulle coste vengono considerati di “serie B”. Grande attenzione viene riservata ai documenti che ipotizzano la possibilità di frane o smottamenti, estrema cura viene messa nel rispondere a segnalazioni che comprendono le possibilità di alluvioni, minor riguardo si concede ai pericoli che vengono dalle coste.
In genere l’unica raccomandazione che viene seguita alla lettera è quella di evitare strutture stabili lungo gli arenili. Si chiede, ad esempio, nelle linee guida, che alla fine della stagione balneare, in una zona a rischio, tutto venga rimosso dalle spiagge, cabine e stabilimenti compresi, proprio per evitare danni. Nessun riferimento alle aree costiere sulle quali si affacciano strade e ristoranti, come il lungomare di Napoli, e nemmeno suggerimenti per evitare problemi con le onde, perché le contromisure spettano ai tecnici. 
In genere l’unica soluzione ai pericoli che vengono dal mare è quella di realizzare imponenti scogliere che emergono dall’acqua o silenziose scogliere sommerse, soffolte, che (come spiega l’esperto nell’intervista in questa stessa pagina) consentono contemporaneamente di non cancellare il panorama e di offrire un’alta protezione dal moto ondoso che viene bloccato già nella fase di avvicinamento alla costa.

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Nel recepire un documento come quello deliberato undici anni fa, spetta all’organo politico che amministra un territorio decidere come reagire. Nello specifico quell’inserimento in un’area di rischio di colore giallo sta a spiegare che le possibilità di eventi pericolosi esistono, ma sono rare. Chi mastica il linguaggio dei pericoli sulle coste azzarda a ipotizzare in media un evento pericoloso ogni cinquant’anni. Sicché la decisione dell’amministrazione locale diventa difficile: limitare spazi e possibilità per via di un evento possibile ma “raro”, oppure lasciare che la vita prosegua normalmente accettando il rischio che possa accadere un evento come quello dell’altra sera?
A dire la verità ci sarebbe anche un’altra via, quella degli strumenti di mitigazione del rischio e di predizione dei possibili eventi pericolosi. Si tratta, però, di strumenti che hanno un alto costo di installazione (scogliere sommerse, tecnologia subacquea, strumenti di accurate previsioni meteo) e un alto costo di manutenzione: chi pensa di proteggere un territorio deve sapere che la manutenzione agli strumenti di tutela va fatta almeno ogni tre-cinque anni. Insomma, i costi sarebbero alti. Meglio affidarsi al caso e sperare che non accada nulla, o almeno che accada quando ad amministrare la città ci sono già altri soggetti.

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