Il doppio binario delle infrastrutture ​necessarie per il Mezzogiorno

di Pietro Spirito
Martedì 24 Gennaio 2023, 00:00
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In uno studio, condotto da Deloitte e Luiss, viene analizzato il rapporto infrastrutture-diseguaglianza: l’impatto marginale di un miglioramento infrastrutturale sarà proporzionalmente maggiore (in termini di migliore accesso a opportunità produttive) per le aree marginali. È questa la ragione per la quale il Mezzogiorno deve porre estrema attenzione al riequilibrio nella dotazione infrastrutturale e nella qualità delle connessioni. Senza una adeguata e robusta dotazione di reti per le connessioni nessuna politica industriale per lo sviluppo è destinata ad avere successo.

Le infrastrutture di trasporto (in particolare, strade e ferrovie) riducono la disuguaglianza del reddito, mentre le reti infrastrutturali tecnologiche la accrescono. Il Sud ha bisogno di disporre di entrambe le leve, da un lato per recuperare il gap del passato, e dall’altro per evitare che se ne costituisca un altro per il futuro.

Veniamo da una lunga stagione di contrazione delle risorse finanziarie messe a disposizione dal Paese per il miglioramento delle reti. Dalla crisi finanziaria globale fino alla pandemia, la spesa italiana per infrastrutture si è contratta in media del 2,8% l’anno (5 volte il tasso a cui è decresciuto il Pil nello stesso periodo), passando dai 65,3 miliardi di euro del 2008 ai 45,3 miliardi di euro del 2021.

Questa dinamica è stata comune, sebbene in misura meno accentuata, anche all’Eurozona, con Spagna e Grecia a segnare le maggiori contrazioni. Ma si tratta di un fenomeno che ha riguardato le economie capitalistiche occidentali nel loro insieme: negli Stati Uniti, nel corso degli ultimi 35 anni, la spesa infrastrutturale federale si è ridotta dall’1% allo 0.5% del PIL.

Nel prossimo decennio la spesa in infrastrutture italiana è destinata a crescere in media dell’1,7% l’anno, un tasso superiore alla media dell’eurozona (+1,5%), ma soprattutto nettamente al di sopra delle previsioni pre-pandemia (+0,9%). La crescita sarà più accentuata nel periodo 2021-2026 (+2,6%), per diventare meno intensa nel quinquennio successivo (+0,9%) per un effetto combinato di una minore spesa pubblica e di una riduzione della forza lavoro dovuta all’invecchiamento della popolazione.

La crescita attesa della spesa in infrastrutture supererà, nel periodo in esame, quella prevista per il Pil, grazie agli ingenti fondi a disposizione, alle riforme attuative previste e, non da ultimo, alla rinnovata fiducia sia nazionale che estera. Tale dinamica si riflette, conseguentemente, anche sul rapporto spesa per infrastrutture/Pil che nei prossimi dieci anni si attesterà in media al 2,8% (rispetto al 2,3% medio del periodo 2015-2021), raggiungendo alla fine dell’orizzonte di previsione il 3%.

Porti, aeroporti e ferrovie saranno il comparto che crescerà maggiormente nel prossimo quinquennio (+3,8% in media l’anno), seguiti da infrastrutture per l’energia elettrica e il gas (+3,2%), trainati dalla spinta al green ed alla transizione energetica. Di questi temi si è discussione nel convegno tenutosi a Roma il 18 ed il 19 gennaio. Uniontrasporti ed Unioncamere hanno ha presentato la piattaforma di idee e di progetti, anche su scala territoriale, per lo sviluppo infrastrutturale dell’Italia, dentro uno schema che ha incrociato tutte le modalità di trasporto con la dimensione territoriale a grana fine che caratterizza il nostro Paese.

L’occasione è irripetibile, soprattutto per le regioni meridionali. Una tale concentrazione di risorse finanziarie per investimenti nelle infrastrutture non si presenterà nell’arco dei prossimi decenni. Quale sarà la dotazione, quantitativa e qualitativa, delle reti di connessione fisiche e digitali, determinerà quale sarà la struttura produttiva e sociale del Mezzogiorno nel futuro. L’attrattività degli investimenti produttivi, la generazione di posti di lavoro, la qualità della vita nelle città dipenderà dalla capacità di realizzare.

In una due giorni di confronto molto interessante ed articolata, con i protagonisti del settore, sono emersi alcuni argomenti che vale da pena di tenere sotto controllo.

Cominciamo dalla manutenzione, tema sottolineato dal viceministro delle Infrastrutture e Trasporti, Edoardo Rixi. Non basta solo realizzare le nuove reti, serve anche mantenere in piena efficienza ed adeguare le infrastrutture esistenti. La dotazione meridionale, già inadeguata di per sé, rischia di perdere ulteriormente competitività e capacità di offerta se non si operano per tempo le manutenzioni ordinarie e straordinarie indispensabili. 

Non si tratta solo di una necessità derivante dalla caratteristiche orografiche del nostro Paese, disseminato di ponti, gallerie e viadotti costruiti ormai in periodi talmente lontani nel tempo da richiedere interventi di controllo e consolidamento. Molte delle nostre infrastrutture, soprattutto nelle principali aree metropolitane, richiedono manutenzioni straordinarie per non perdere capacità di offerta.

Prendiamo l’esempio di Napoli: nella fotografia ad oggi, registriamo la Funicolare di Chiaia ferma da settembre scorso, in attesa dell’appalto per la revisione, i lavori che stanno per cominciare per le principali stazioni della metropolitana cittadina, e lo stato comatoso della rete e dei servizi della Circumvesuviana. I rallentamenti che si stanno determinando per effetto dei ritardi nella esecuzione delle opere necessarie al mantenimento in efficienza peggiorano la qualità delle connessioni nel territorio metropolitano, con una perdita di competitività ulteriore rispetto allo storico ritardo delle infrastrutture sul territorio.

Passiamo ad una seconda questione. Nel trasporto ferroviario delle merci è stata avviata una indispensabile opera di adeguamento della rete nazionale alle caratteristiche del treno merci secondo standard europei: 750 metri di lunghezza e 2.000 tonnellate di peso trasportato. La rete meridionale è molto lontana da questi standard, e ciò si traduce in un netto svantaggio competitivo, in quanto i costi di produzione sono molto più elevati. 

Il Presidente di Rete Ferroviaria Italiana, Anna Masutti, ha sottolineato che al 2035 la rete ferroviaria lungo le dorsali principali sarà adeguata a queste caratteristiche; nel 2026, al termine del PNRR, però, l’Italia sarà sostanzialmente spaccata in due, più o meno all’altezza della linea gotica. Poiché solo quando le direttrici adriatica e tirrenica saranno convertite secondo tali caratteristiche il Sud ne potrà beneficiare, la logistica meridionale continuerà ad essere in una condizione di svantaggio competitivo. Sarebbe indispensabile tentare di accelerare le opere di adeguamento necessarie per offrire al Mezzogiorno una leva aggiuntiva di competitività e di attrazione di investimenti manifatturieri.

Infine due altri punti di attenzione sono stati messi in evidenza da Giuseppe Tripoli, segretario generale dell’Unioncamere. Conciliare la capillarità di rete e le dorsali forti di connessione rappresenta la questione di fondo che va affrontata per determinare le scelte. Esistono anelli mancanti di connessione che vanno ricuciti, soprattutto sulla questione fondamentale della intermodalità: solo due quinti dei porti ed un quinto degli aeroporti sono collegati alla rete ferroviaria. 

Si registra infine una tendenza alla concentrazione tra gli operatori del trasporto, sia in senso orizzontale sia in senso verticale; questo processo sta conducendo alla costituzione di un capitalismo della mobilità che influisce fortemente sulle performance del sistema economico nel suo insieme. Una eccessiva gerarchizzazione del capitalismo della mobilità danneggia le aree marginali del Paese, come il nostro Mezzogiorno.
 

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