Fondi per le bici, in scena il teatro dell'assurdo

di Fabrizio Coscia
Domenica 24 Gennaio 2021, 00:00 - Ultimo agg. 08:50
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Se è vero che tra Napoli e il teatro c’è stato, da sempre, un rapporto identitario, potremmo dire che oggi per la nostra città non è più tempo di commedia, né di sceneggiata, ma che è il tempo del teatro dell’assurdo.

Che cos’è infatti il teatro dell’assurdo? È un genere diffuso tra gli anni Quaranta e Sessanta del secolo scorso, basato sull’abbandono di una costruzione drammaturgica razionale e sul rifiuto di un linguaggio logico-consequenziale. Per cui ci troviamo di fronte a drammi privi di coerenza e a dialoghi regolati dal nonsense, dove spesso a una domanda segue una risposta del tutto incongrua o nessuna risposta, o un’altra domanda. E non è esattamente quello che sta succedendo a Napoli in questo periodo? Qualche esempio? La questione drammatica della Galleria Vittoria, a cui i giudici hanno negato il dissequestro, condannandoci a più di un anno di calvario, avrebbe richiesto una risposta adeguata, responsabile da parte del Comune, una risposta logico-consequenziale da parte di chi ci ha perso la faccia e anche di più per la mancata manutenzione di un’arteria del traffico così cruciale. Ci saremmo aspettati, cioè, un piano alternativo ed efficiente, un ripensamento generale della mobilità. Ma siccome siamo al teatro dell’assurdo, la risposta è stata, invece, il biciplan. Proprio così! 

Un progetto di cinque milioni per trasformare Napoli in capitale della bicicletta, con tanto di ascensori ad hoc da piazzare qua e là per la città, a compensare i numerosi dislivelli stradali (ma chissà come si farà poi per compensare le buche e le voragini).Insomma, roba da far invidia ad Amsterdam o a Strasburgo. 

Peccato però che siamo lontani anni luce - per efficienza e mentalità, ma anche, naturalmente, per dimensioni e urbanistica - da Amsterdam e Strasburgo.

Siamo invece, come è evidente, di fronte a uno scollamento totale tra una visione astratta e ideale della città e i suoi problemi reali e concreti, lasciati a incancrenire, come i tanti cantieri infiniti, i crolli sempre più frequenti - di strade, alberi, palazzi, chiese - le tante questioni irrisolte di un vivere cittadino che ha raggiunto ormai livelli ansiogeni da primato.

Sarebbe stata, ancora una volta, la risposta logico-consequenziale a una situazione così delicata. Ma siccome siamo al teatro dell’assurdo e la drammaturgia razionale non c’è, tutto è stato rimandato a poche ore dalla riapertura delle scuole. 

Possiamo davvero ipotizzare che l’efficienza amministrativa della città riesca a impedire assembramenti presso le fermate degli autobus, pullman pieni, metro affollate partorendo in poche ore ciò che non è riuscito a realizzare in mesi e mesi di pandemia? E vogliamo parlare della vergogna dei murales, altarini e gazebo dedicati a rapinatori e boss nel centro storico, sorti dal nulla in zone vincolate?

Il prefetto ha rivolto un appello al Comune per rimuoverli. Ci saremmo aspettati tutti una risposta immediata: multe, denunce, interventi per ripristinare lo stato dei luoghi. Ma siccome la drammaturgia della città la stanno scrivendo Beckett, Ionesco o Pinter, niente di tutto questo è avvenuto. Solo un assordante silenzio. Certo, bisogna considerare che il nostro sindaco è molto impegnato a progettare la città delle bici e dei monopattini, a realizzare la sua isola di Utopia, la sua societas perfecta che esistono solo nella sua testa. Non possiamo pretendere che si occupi di problemi così terra terra. E tuttavia la città, intanto, sta morendo di abbandono, di incuria, di traffico, di mancate risposte. Sta morendo aspettando Godot.
 

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