Napoli, la voglia di crederci dopo tante urla strozzate in gola

di Marilicia Salvia
Venerdì 24 Settembre 2021, 23:35
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Forse meno belli, o a volte belli uguali, ma comunque belli assai, e molto, molto più cinici. Togliamoci subito il pensiero, perchè questo Napoli sarà costantemente paragonato a quello dei 91 punti.

Se continua così - e tutti ci auguriamo, anzi siamo certi che continuerà così - è chiaro che questo Napoli sarà costantemente, inevitabilmente paragonato a quell’altro, quello bello e sfrontato, quello no limits, l’ultimo Napoli che ci ha fatto davvero sognare. Paragone vano, e pure vagamente iettatorio, visto poi com’è andata a finire quella volta. Eppure non c’è dubbio che è da lì che il cuore azzurro ci porta a ripartire, perché in fondo è lì, dentro quel sogno interrotto sul più bello e nel modo più ingiusto, che in tutto questo tempo lo abbiamo lasciato. A quella promessa non mantenuta, a quell’urlo strozzato in gola, volenti o nolenti ritorniamo, perché da allora in poi (quasi) tutto è andato storto: allenatori, preparatori atletici, per non dire di certi nuovi improbabili innesti e dei vecchi leoni usciti di senno e di un ambiente avvelenato e incupito senza ragione apparente, da allora niente ha funzionato, e a delusione si è sommata delusione, a sofferenza si è aggiunta sofferenza, e un pezzetto dopo l’altro l’orgoglio se n’è andato in briciole e l’entusiasmo in cenere. Poi è arrivato lui, questo toscano che sembra un pirata, e il mondo azzurro ha ripreso a girare. Koulibaly è tornato la montagna che era, Zielinski il cecchino spietato, Insigne il capitano con qualche macchia, forse, ma senza paura. E Fabian ha ripreso a organizzare, e Mario Rui a lottare.

Manca Ciro, con i suoi gol inventati dal nulla e il suo spirito di scugnizzo nato per sbaglio parecchio più a nord, perchè davvero possiamo festeggiare il ritorno del gruppo che ci è tanto mancato, il gruppo intorno al quale si è esaurito un ciclo e che avrebbe meritato di più del poco che ha raccolto. E davvero, nel giorno in cui celebriamo il Napoli primo in classifica da quattro giorni equivalenti a due giornate, unica squadra a punteggio pieno dopo cinque partite (ok, ancora poche, ma comunque indicative), davvero se c’è una nota stonata riguarda lui, l’assenza fin troppo prolungata del folletto belga-napoletano, la mancanza delle sue diavolerie sotto rete, delle sue scenette dopo un gol, della carica che solo lui sa dare. Il folletto per cui abbiamo fatto un tifo da matti quando c’era la possibilità (dal nostro punto di vista il rischio) che non rinnovasse il contratto, che a lungo abbiamo considerato nostra bandiera, e il cui contributo è mancato moltissimo l’anno scorso, l’anno del ringhio sprecato e della Champions bucata al fotofinish.

Ciro-Dries di cui tutti sembrano aver perso memoria, in questo scorcio di stagione, primo e straordinario scorcio grazie anche alle zampate di Victor il leone: finalmente un centravanti vero e reti a grappolo presenti e future, finalmente un nove chiaro e tondo in una squadra per troppo appesa al falso nueve; però i suoi gol erano veri, altroché, perciò non ci scordiamo tutto il bene che ci ha fatto quando non avevamo che lui e troviamogli presto qualcosa da fare. D’altronde c’è e ci sarà spazio per tutti, in questa squadra partita con il silenziatore per diventare, nel giro di un mese, la più scoppiettante delle promesse: come al solito non è soltanto per il filotto delle vittorie, non è per i punti ma per come li abbiamo conquistati, con tenacia, con rabbia, con cura e bravura, con allegria.

Mettendoci il cuore e non solo i muscoli, la bellezza e non solo la forza. E allora sì, che la riconosciamo, la squadra del nostro sogno nel cuore: e allora sì, che siamo di nuovo pronti a sognare tutto, a volere tutto, a giurare che ci prenderemo tutto, scudetto Coppa Italia ed Europa League, sì pure la coppa che non ci interessava, quella che ci ha fatto tenere il muso per un’estate intera, perché volevamo entrare in quella grande, quella importante, mentre questa qui ci avrebbe solo stancato e distratto dall’obiettivo principale, tornare in Champions, vogliamo sentire di nuovo l’urlo Champions. Ma quale piazzamento Champions, quello ora come ora, diciamo la verità, sarebbe un ripiego. Per cui a questo punto dovremmo metterci d’accordo, se nominarla ancora la parola scudetto, o limitarci a pensarla, solo a pensarla, secondo rito scaramantico applicato ampiamente per quanto finora inutilmente. Zitti zitti, fino al traguardo: nell’anno del ritorno dei tifosi negli stadi, nell’anno della congiuntura astrale che ha portato in Italia alcuni dei migliori allenatori su piazza, nell’anno della ricostruzione non sarebbe solo una gioia, sarebbe un evento dalla forza simbolica dirompente.

Zitti zitti, sì, mentre tutto intorno è rumore: è troppo presto, non reggeranno il ritmo, Spalletti per consuetudine parte sparato e poi rallenta, attenti alla Juve che Allegri non perdona, attenti alla Roma e persino alla Fiorentina. Parlano, in tv e sui giornali e sui social, parlano e ammoniscono, parlano e si stupiscono. Parlano, come tre anni fa, come nella stagione dei 91 punti. Parlano, e intanto noi aspettiamo il Cagliari e un vecchio amico. Ma non gli faremo sconti. Una partita alla volta, forse meno belli, a volte belli uguali, di sicuro più cinici. 
 

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