Clan tra social e lusso, Gratteri: «Boss italiani come quelli messicani»

L’ultimo allarme sulla frontiera TikTok: «Da qui sfide, minacce e tanta emulazione»

Gratteri al PalaVesuvio
Gratteri al PalaVesuvio
Leandro Del Gaudiodi Leandro Del Gaudio
Sabato 2 Dicembre 2023, 00:00 - Ultimo agg. 17:36
5 Minuti di Lettura

Punta l’indice contro la frontiera social che viene battuta dalle mafie italiana. A Napoli come a Catanzaro, a Taranto come a Palermo e ovunque ci sia un radicamento malavitoso sul nostro territorio. Una frontiera che va da facebook a Instagram, per diventare parossistica tramite la piattaforma TikTok dove circolano sempre più spesso messaggi e minacce, richieste di consenso e guanti di sfida. Una frontiera che avvicina quello che accade in Italia - ovviamente anche a Napoli - a quanto registrato in questi anni per opera dei cartelli di narcotrafficanti in Messico e in Sudamerica. È questa l’analisi del procuratore di Napoli Nicola Gratteri, ieri ospite di Casa Corriere, ma anche ospite a sorpresa di Accademia Italiana di Scienze Forensi che ha preso il via due giorni fa nella sala Arengario del Nuovo Palazzo di Giustizia di Napoli.

Boss locali come quelli del cartello di Sinaloa, per ragionare come il capo dei pm napoletani, anche alla luce del particolare stile di vita assunto dagli esponenti dei clan: una condotta votata allo sfarzo, alla rappresentazione di ricchezze costruite grazie alla droga e al racket.

Spiega Gratteri: «Noi consideriamo i social un passatempo per i ragazzi, prima si usava Facebook, che ora usano quelli dai 40 anni in su, poi è arrivato Instagram, oggi c’è Tik-Tok: per noi sono una miniera (di informazioni, ndr) e lo sono da tutti i punti di vista: per i genitori se vogliono capire i giovani e per gli investigatori se vogliono capire dove stanno andando le mafie». 

 

Sala Arengario del Nuovo Palazzo di Giustizia, prendendo spunto dall’intervento della professoressa Gaia Pensieri, il magistrato antimafia ha ricordato che i primi nel mondo, a capire le potenzialità dei social «sono stati i cartelli messicani del Golfo e di Sinaloa, sono maestri della comunicazione, della strategia criminale, per avvicinare e avviluppare i giovani, gli ultimi idioti, li chiamo io, i portatori di acqua al pozzo dei capo mafia». E ancora: «E questo sta accadendo in Italia - ha sottolineato il procuratore - ma soprattutto in Campania e a Napoli, dove i figli dei camorristi si fanno vedere su macchine di lusso, con l’orologio d’oro, firmati e luccicanti come carretti siciliani, si fanno vedere per dire “io sono il modello vincente”. Per dire “vuoi diventare ricco come me? Allora vieni con me”. Intanto, dicono a questi giovani, “portami la cocaina a Milano, intanto spostami questa pistola nell’altro quartiere che mi serve per domani serà». Per Gratteri i social, quindi, «non solo solo utili sul piano investigativo, ma possono anche svolgere un ruolo sul piano preventivo». Due sere fa a L’aria che tira, Gratteri è invece intervenuto anche sul primo mese trascorso a Napoli. In sintesi, ha ricordato come è cambiato il suo modo di essere visto all’interno del distretto napoletano: «Sono via via venuti meno le incomprensioni e i pregiudizi», ha spiegato a proposito delle note della corrente di Magistratura democratica e della camera penale di Napoli. 

Video

Ma non sono mancati nella giornata di ieri riferimenti alle riforme in corso. Gratteri parla «di una politica ossessionata dalla magistratura», a proposito della separazione delle carriere, ma anche della possibilità di stabilire la valutazione dell’operato dei magistrati con un sistema delle pagelle: «Può andare anche bene, purché venga applicato a tutto il mondo delle professioni». E sulla riforma della giustizia, per il procuratore di Napoli «ci vorrebbe un fermo pesca», dice con un pizzico di ironia.

Poi c’è la storia del contrasto al degrado in diversi punti delle nostre aree metropolitane. È il caso Caivano che, secondo il magistrato dovrebbe essere replicato anche in altri contesti: «Secondo me si sta vivendo Caivano come unicum, ma ci sono tante Caivano in Italia e tutti lo sanno. Io penso: per adesso facciamo questo spot, completiamo Caivano, ma il mio sogno sarebbe una politica che ha una visione, ha progetti da qui a dieci anni». E a proposito del degrado nel centro Delphina, il procuratore ha aggiunto: «Noi tutti abbiamo visto in tv la struttura sportiva abbandonata che è costata migliaia di euro, ma vogliamo capire a chi è stata consegnata? Perchè è stata ridotta così? Qualcuno prima o poi dovrà pagare sul piano politico, morale ed etico. Quando ho visto ogni tre giorni ministri andare lì, ho pensato a una esagerazione, ma poi andando per partecipare a una riunione, con anche il ministro Piantedosi e il sindaco Manfredi, ho visto che nella sostanza avevano affrontato anche piccole cose e in un territorio dove c’è il deserto anche passare da 3 assistenti sociali a 10 è sostanza». 
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA