Nekrosius, il teatro perde un genio

di ​Ruggero Cappuccio
Martedì 20 Novembre 2018, 22:17
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La morte di un genio è come la morte di un bambino. Ci travolge con un’onda di tenerezza. Eimuntas Nekrosius ha salutato i rituali di questo mondo ieri notte, complice un infarto fulminante che lo ha sorpreso nella sua casa di Vilnius. 
Dei bambini Nekrosius aveva l’innocenza e l’intelligenza. Un’intelligenza lontana dalle pretese di razionalizzazione ad oltranza di certo mondo occidentale. La sua era un’intelligenza sensibile che lo aveva portato a vivere il suo lavoro di regista come una perpetua invocazione di quel sesto senso che è la dotazione più preziosa per un artista: l’intuito. Avevo conosciuto Nekrosius più di vent’anni fa, quando si era presentato al pubblico italiano con la forza di una rivelazione capace di abolire la messaggistica cerebrale per risvegliare la sensualità della percezione, la potenza della visione.
Quando due anni fa assunsi l’incarico di direttore del Napoli Teatro Festival pensai immediatamente a lui per avviare un percorso di formazione destinato ai giovani attori che per due anni lo ha visto nella nostra città, dove prima al Trianon e poi presso la Chiesa di Donnaregina ha messo in scena i risultati dei laboratori che aveva condotto. Di lui mi piaceva la capacità di amare ogni singolo attore come una creatura speciale e irripetibile. Con lui condividevo la convinzione che non esiste un metodo universalmente applicabile all’arte dell’interpretazione. Per lavorare il legno occorrono strumenti che non sono adatti al marmo. Ciò che era ammirevole in lui era la virtù liberatoria di cui era dotato. Ogni attore veniva accolto con vocazione maieutica e chiamato a donare le sue energie più segrete. Naturalmente tutto confluiva in un processo organico che era alla base del progetto scenico del maestro. L’idea comune che la maggior parte delle persone si forma sul teatro è che sia un mondo dominato dal narcisismo. Quello che mi univa a Nekrosius era invece la consapevolezza che non esiste universo più antinarcisistico del teatro: la personalità dell’individuo deve farsi da parte per provare la gioia della resa, ed aprire le porte alla forza motrice del personaggio. Se le democrazie si fondano sulla quantità del numero, il teatro si basa sulla qualità della comunione.
Tutta la vita di Nekrosius è stata connotata dal pudore, dal silenzio, dalla rinuncia ad apparire. Sono felice di averlo ospitato a Napoli, dove nella prossima edizione del festival avrebbe curato la regia del mio Edipo a Colono e dove, come confermano i suoi collaboratori più fedeli, viveva la sua dimensione più sorridente. Nekrosius era un uomo che amava l’implicito, comunicava su basse frequenze, prediligeva la riservatezza. Eppure, ogni mattina usciva dal suo albergo per conoscere la città. Lo abbiamo accompagnato tra le chiese e le piazze, fino davanti alle Sette Opere di Misericordia. Ciò che prediligeva sommamente era però immergersi tra il fragore dei vicoli collegati ai decumani. Gli piaceva assaporare la temperatura psichica della città. Lui, così schivo, amava com’è naturale il proprio contrario. Muore un amico. Muore un uomo che aveva negli occhi la luce di un bambino. L’ho ringraziato e lo ringrazio per quanto generosamente ha voluto dare al festival e ai giovani attori della città. Muore un bambino che non ha mai avuto paura di giocare. Fortunato chi lo ha incontrato. Fortunato chi lo incontrerà nell’arte dei suoi attori.
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