Il vero ruolo dei murales ​contro il degrado

di Raffaele Aragona
Mercoledì 8 Luglio 2020, 00:00
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Ha scritto bene Fabrizio Coscia, l’altro giorno su queste colonne, a proposito della querelle innescatasi sul murale immaginato sulla facciata cieca del bel palazzo di Nervi in piazza Garibaldi; la facciata che dovrebbe accogliere una grande immagine di Pino Daniele a opera dello street artist Jorit, del quale, naturalmente, non si discute affatto il talento. Dice certamente bene Coscia nell’affermare la validità dei murali in zone degradate di periferia che verrebbero in qualche modo impreziosite da interventi del genere ed essere in grado di contribuire a una sorta di rigenerazione.

Il principio, perciò, potrebbe in qualche modo aderire alla situazione del quartiere Vasto che degradato lo è davvero. L’adesione, però, rischia di apparire un’iperbole dal momento che quella adiacente è pur sempre zona centrale della città e dovrebbe rappresentarne un suo biglietto di visita, ancorché sgualcito e guastato da intrusioni di vario genere. Pare allora azzardato sostenere che l’immagine gigante del cantante rappresenti un simbolo ragguardevole della città. C’è anche da dire che, a parlare di rigenerazione urbana delle periferie a provenire dal centro, non è che possa e debba valere il contrario, dalle periferie al centro.
Comunque, al di là delle risibili questioni succedutesi a proposito del vincolo esistente e non più esistente della Soprintendenza, resta il fatto che il fabbricato, opera di Pierluigi Nervi, è struttura di pregio che non merita un intervento del genere, a prescindere dalla valenza dell’artista che vi verrebbe raffigurato e dell’artista che lo realizzerebbe.

Tra l’altro, i normali e accettati murali trovano collocazione su un fondo anonimo e privo di qualsiasi caratterizzazione architettonica; la facciata del grattacielo di Nervi, invece, è sì una facciata cieca, ma è aperta a una sua ben precisa lettura: essa presenta una sorta di nido d’ape, che a detta, ad esempio, di Antonio Martiniello, il fondatore dello Studio Keller, «richiama il concetto alla base della grande cascata vanvitelliana della Reggia di Caserta, dove l’acqua veniva interrotta da scaglie di terracotta colorata che creano effetti iridescenti. Qui c’è lo stesso effetto, un lato del palazzo è luminoso e lo si vede arrivando in città».
La discussione, poi, dovrebbe comprendere altri aspetti. In primo luogo quello della durata; non è certo ipotizzabile che un’opera siffatta rimanga per un imprecisato numero di anni e si spera che nelle idee dei proponenti sia contemplato il carattere di provvisorietà della raffigurazione, nell’ipotesi che l’iniziativa dovesse andare in porto.

Oltre a ciò, la “decorazione” progettata rappresenta comunque una consistente modificazione della facciata e per essa dovrebbe essere d’obbligo un’apposita autorizzazione comunale; ma è facile ipotizzare che essa sia stata richiesta e già concessa, attesa la costante attenzione di questa amministrazione a iniziative siffatte… 
C’è anche da osservare che il fabbricato di Nervi ha già superato i cinquanta anni di età e perciò, a prescindere dall’esistenza o meno del vincolo della Soprintendenza, esso rientra tra i manufatti per i quali lo stesso Ente avrebbe doveroso titolo per esprimere il proprio parere.

Non ci si può, infine, discostarsi dal principio di carattere generale secondo il quale tutto ciò che volutamente viene aggiunto al preesistente debba obbligatoriamente rappresentare una miglioria, funzionale o estetica. Non è certamente pensabile che il murale, per quanto consolidato sia il valore dei due artisti (il ritratto Pino Daniele e il ritrattista Jorit), debba campeggiare sul fianco di un’opera architettonica che accoglie turisti e viaggiatori all’ingresso della città e finisca quasi a rappresentarne l’emblema.

Si tenta di distaccarsi dalla raffigurazione di Napoli con “pizza e mandolino” o con “San Gennaro e Pulcinella”, ma il volto di un cantante, per quanto rappresentativo e amato da tutta la città, realizzerebbe un ulteriore stereotipo. Sì cerchi allora di abbandonare progetti del genere che nulla offrono di positivo all’immagine della città, rischiando addirittura di conferirle un sapore provinciale.


 
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