La temporanea chiusura della Feltrinelli di piazza dei Martiri per ristrutturazione ha allarmato non poco, e i nostri lettori lo ricorderanno bene, gli abitanti della zona di Chiaia – si è parlato con preoccupazione di una popolazione di centomila abitanti rimasta senza nemmeno una libreria –, ma per fortuna la chiusura è solo temporanea, e probabilmente la nuova Feltrinelli sarà ancora più fornita e partecipata di prima. Almeno questo è l’augurio.
Facile però, in un contesto di obiettiva “egemonia delle friggitorie”, cedere al pessimismo. Ma a Napoli chi organizza e fa cultura ha il dovere dell’ottimismo, anche se a volte, obiettivamente, non è semplice.
Com’è noto, l’allarme di Chiaia si è sovrapposto al “trauma” dello sfratto di Pironti a piazza Dante, del quale si è molto scritto e parlato, anche per la sua portata simbolica. Alberto Della Sala della libreria “Io ci sto” del Vomero – grande esperimento riuscito di libreria partecipata e comunitaria – ha caldeggiato proprio sul nostro giornale una progettualità libraria dal basso per Chiaia. E tuttavia, conti alla mano, ha dimostrato che per sostenere le spese di gestione di una libreria in quel quartiere, soprattutto quelle di locazione, la vendita dei libri è un business insufficiente. Tutto questo per dire che la cultura è tante cose: anche, purtroppo, una faccenda di costi e benefici.
La notizia della sponsorizzazione da parte di Unicredit, e ora della Farnesina, delle attività del teatro San Carlo è davvero eccellente.
Nel succitato intervento di Della Sala, l’animatore di “Io ci sto” faceva riferimento, non sappiamo con quanta speranza, a eventuali “imprenditori illuminati”. Proponeva, insomma, un protagonismo civico-economico dei privati, che mediamente tendono a privatizzare gli utili e a socializzare le perdite. Sempre a proposito del San Carlo, colpisce favorevolmente il mecenatismo di Luisa Benigno, imprenditrice della moda, che finanzierà soldi propri nelle attività del nostro principale teatro. Un esempio da elogiare e da proporre come modello: perché investire in cultura significa investire in una società migliore, e una società migliore significa anche un’economia più forte.
In un momento come questo, in cui il digitale polverizza l’offerta culturale e disgrega le forme associative tradizionali, il rischio è la desertificazione culturale urbana. Librerie, cinema, teatri, biblioteche e musei, invece, sono fondamentali, perché una città è veramente viva e accogliente anzitutto quando riesce a garantire un’offerta culturale ricca e plurale permettendo a tutti di confrontarsi e incontrarsi “fisicamente” con chi, settore per settore, ha storia, competenza, autorevolezza e passione.
Sono da accogliere con favore i grandi programmi sull’Albergo dei poveri, che probabilmente diventerà l’hub culturale della città. Su questo il ministro Gennaro Sangiuliano ha detto parole chiare e definitive.
Altro segnale positivo per Napoli. Ma qui si sta ponendo il problema della cultura nella sua dimensione quotidiana e cittadina. E se si allargherà il predominio della ragione turistica, che s’intreccia con la parcellizzazione digitale e con la riconversione di massa dei “locali” in negozi legati allo shopping e al food, è chiaro che a risentirne sarà la cultura nella sua dimensione più civica e quotidiana.
Lo Stato, in tutte le sue articolazioni, può fare molto, ma non tutto. Anche perché, in un Paese liberaldemocratico, non è auspicabile una “cultura di Stato”. E allora tocca anche ai privati, ma bisogna sostenere con maggiore determinazione le imprese culturali, le donazioni, il mecenatismo, la collaborazione virtuosa tra pubblico e privato, che al Sud è molto debole. Perché la forza del Sud è soprattutto la sua cultura, ma se nessuno la sostiene, la cultura, il Sud sarà semplicemente più povero.
Oggi a Napoli – ma il fenomeno riguarda tutte le città italiane, sia pure con gradazioni diverse – è sempre più difficile trovare luoghi dove incontrarsi e condividere esperienze culturali. Ovviamente non è un deserto – e si pensa, tra i tantissimi, a un progetto civico come la “Biblioteca dello Scugnizzo liberato” del quartiere Avvocata – ma è evidente un crescente depauperamento, denunciato qualche giorno fa proprio su queste colonne da un dolente corsivo di Piero Sorrentino.
Ma da soli non bastano né lo Stato e nemmeno i privati. Il contributo maggiore dovremmo darlo noi cittadini, che troppo spesso preferiamo l’intrattenimento ipnotico social o il disfattismo risentito rispetto a un impegno culturale rigoroso e condiviso nei luoghi vivi della cultura cittadina.
Purtroppo l’egemonia delle friggitorie non ci è stata imposta da Marte, ma anche dal nostro disimpegno e dalla nostra ingenerosa sufficienza. Non sganciare la cultura dal corpo vivo della città, dunque, è un impegno che deve riguardare tutti: Stato, imprese e cittadini.