Premio Serao, ponte di carta tra Napoli e il mondo

di Titta Fiore
Venerdì 30 Settembre 2022, 23:56 - Ultimo agg. 1 Ottobre, 06:00
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Jhumpa Lahiri, americana di origini bengalesi, ama «Le metamorfosi» di Ovidio perché, dice, il cambiamento è la forma della creatività. 

Matilde Serao, greco-napoletana, aveva fatto dell’erranza tra stili e saperi la cifra dei suoi interessi. Basterebbe questo, ma è molto più larga la via delle affinità, a individuare un filo rosso tra la vincitrice di quest’anno del Premio Serao per la letteratura e la cofondatrice del «Mattino» cui il premio istituito dal giornale nel 2017 è dedicato. 

Matilde amava scrivere sopra ogni cosa. Si dichiarava grafomane, «come diceva il povero Scarfoglio»: fra tutti gli oggetti di questa Terra, ammetteva, «la carta, la penna e il calamaio sono le sole cose che mi avvincono». Era stata una bambina di studi irregolari, golosa di maccheroni e di libri, e nel giornalismo nessun argomento le veniva a noia. Scriveva di tutto e dappertutto, conquistando il suo posto nel mondo «a furia di urti e di gomitate», orgogliosa di farcela senza l’aiuto di nessuno. Nella scrittura individuava un mestiere e un destino.

S’impegnò nel sociale, difese le donne, i diseredati e l’infanzia negata. Ebbe successo, pagò prezzi altissimi nella vita privata e in quella pubblica, tant’è che per il suo antifascismo Mussolini le negò la candidatura al Nobel. Jhumpa, che è nata a Londra da genitori indiani, è cresciuta a Rhode Island, insegna a Princeton, ha vinto un Pulitzer e ricevuto la medaglia del President’s Committee on the Arts and Humanities dalle mani di Obama, ha cercato nella scrittura un senso alla sua «identità ibrida».

E, non sentendosi davvero a casa in nessun luogo, ha scelto di trovare a Roma un approdo e una linfa e nell’italiano «una lingua in prestito» capace di ricondurla misteriosamente verso il suo io più profondo.

L’innamoramento per l’italiano si è trasformato, spiega, in un percorso trasformativo che le ha permesso di sondare «la solitudine dell’eccellenza» e ad accettare l’idea che l’identità creativa non è univoca, ma non può che nascere dall’intreccio di tante vite.

Serao scavava con la potenza di un linguaggio anarchico e barocco negli angoli più scuri e palpitanti del ventre di Napoli, oltre il «paravento» del conformismo e l’opacità della gestione del potere.

Faceva della contaminazione dei saperi e dei linguaggi un metodo, degli sconfinamenti di genere una strategia. Il premio del «Mattino» che porta il suo nome e si assegna questa mattina dalle 10,30 nel Teatro di Corte di Palazzo Reale si ispira al suo multiforme talento e segnala autrici di analogo percorso, capaci di sperimentarsi nella narrazione emozionale e personale come nel rigore dell’analisi. E vuole essere anche l’occasione per ragionare, insieme con protagonisti della cultura, della politica, del sociale e dell’economia, del valore della collaborazione, dell’incontro di patrimoni culturali diversi, del superamento di vecchi schemi produttivi e di pensiero nella prospettiva di una diversa elaborazione del reale e di un dialogo più capace di costruire sulla complessità. 

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