Un simile groviglio potrebbe trovare rappresentazione solo in una tela di Pollock, in una di quelle composizioni astratte e senza centro, in cui le linee si inseguono nervose in una ragnatela fittissima: se uno volesse oggi sgocciolare in un grafico tutti i tragitti percorsi intorno al Colle – le telefonate, gli appuntamenti, i messaggi, le riunioni – si ritroverebbe davanti la stessa inestricabile trama, lo stesso caotico garbuglio. Un labirinto, in cui tutti sospettano di tutti e nessuno sa ancora indicare la via d’uscita.
Ed allora, proviamo a vedere quali possono essere gli scenari sui due fronti. Il centrosinistra, si dice. Ma esiste il centrosinistra? C’è un nome attorno al quale è unito, sono uniti i partiti e la coalizione? Letta può fidarsi di Conte? Conte può fidarsi di Di Maio? Quando ieri pomeriggio Letta ha rilasciato la dichiarazione con cui diceva no – il più tonante dei no – a Maria Elisabetta Casellati, sembrava rivolgersi non tanto al centrodestra, che certo non si aspettava una reazione più cordiale, quanto piuttosto ai suoi stessi alleati, e segnatamente ai Cinque Stelle, per il timore che dal Movimento possano fuoriuscire i voti necessari all’elezione della Presidente del Senato. E, va da sé, al siluramento di Draghi. Che Conte dice di volere fortissimamente a palazzo Chigi (e solo lì), sapendo bene però che tutto è sicuro meno la permanenza di Draghi a capo del governo, una volta che sul Quirinale si sia consumato lo strappo nella maggioranza. Come se non bastasse, si è rifatto vivo Grillo, il quale ha giurato e spergiurato che lui sta con Conte, che lui è d’accordo sulla linea di Conte, che lui non ha mai detto a Conte di sostenere Draghi al Quirinale. Quanta foga. Il fatto è che, contemporaneamente, nel Movimento c’è chi mostra piena disponibilità e assicura che non ci sono veti su Draghi, poi ci sono quelli che nel segreto dell’urna mandano segnali in proprio votando (a decine) Mattarella, e c’è soprattutto Luigi Di Maio il quale sembra preoccupato delle correzioni di rotta di Conte, dato più vicino a Salvini di quanto non sia a Letta: forse Conte ha un patto con Salvini, forse no. Forse ci ha provato una prima volta sul nome di Franco Frattini, forse ci proverà davvero sulla Casellati: quién sabe?
Strane coppie si formano, intanto: perché per un Conte che confabula con Salvini, c’è un Letta che ha un lungo incontro con Renzi. È la politica, bellezza: gli avversari di ieri si ritrovano alleati oggi, anche se l’alleanza – vai a fidarti – potrebbe durare lo spazio di un mattino. Il tempo di sbarrare la strada ai nomi divisivi del centrodestra, ad esempio, e poi via: uno dietro all’ipotesi Draghi, che il segretario dem continua a caldeggiare come l’unica soluzione, l’altro dietro all’ipotesi Casini. Forse. O forse dietro altri nomi ancora coperti: quién sabe?
Il centrodestra, si dice poi.
Se poi ti addentri nei corridoi del Palazzo, ti accorgi che non c’è Grande Elettore che non cerchi il vento giusto: la Casellati? Siamo sicuri che mentre cerca voti fra i Cinque Stelle non sarà impallinata dal fuoco amico? Pierferdinando Casini? Siamo sicuri che farebbe il pieno a destra, e che nel centrosinistra non monti un’altra volta la carica dei centouno franchi tiratori? Mario Draghi? Ma possono i leader fare un accordo sopra le teste dei parlamentari, che temono più di ogni altra cosa il voto anticipato nel caso di un’elezione di Draghi al Colle?
Intendiamoci: è sempre andata così, più o meno. Non con Pollock, l’astrattismo e la storia dell’arte, intendo, ma con le elezioni al Quirinale. Macchinazioni e tatticismi sono la più pura essenza della «politique politicienne», che raggiunge il suo acme con la corsa al Colle. Ogni volta, però, quel che importa è che, il giorno dopo l’elezione, dal caotico intreccio cominci a affiorare, affiorare almeno, un disegno stabile e comprensibile. E, forse, persino un’idea d’Italia e del Paese che verrà. Diversamente, quel gorgo di linee avrà il sapore del finale «cupio dissolvi» di una intera classe politica.