Rudi Garcia, una seconda vita da duro

di Marco Ciriello
Domenica 22 Ottobre 2023, 23:20 - Ultimo agg. 23 Ottobre, 06:00
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La seconda vita di Rudi Garcia, quella inventata da Aurelio De Laurentiis, è da Jean Gabin. Un duro che sa i nomi dei suoi nemici, e che promette di riprendersi tutto. O almeno così sembra. De Laurentiis che salta da Verdone a Garcia, da Danny DeVito a Khvicha Kvaratskhelia, ha l’illusione delle serie tivù: che tutto abbia un seguito. E ora ci crede anche Garcia. (...)

La seconda vita di Rudi Garcia, quella inventata da Aurelio De Laurentiis, è da Jean Gabin. Un duro che sa i nomi dei suoi nemici, e che promette di riprendersi tutto. O almeno così sembra. De Laurentiis che salta da Verdone a Garcia, da Danny DeVito a Khvicha Kvaratskhelia, ha l’illusione delle serie tivù: che tutto abbia un seguito. E ora ci crede anche Garcia. Si entra e si esce da un mockumentary sul Napoli, dove realtà e finzione si oltrepassano senza una linea a marcarne le differenze. Per ora funziona, ma poi arriverà Stefano Pioli col Milan che già pesò sulla Champions League del Napoli e sui rapporti tra Luciano Spalletti e Aurelio De Laurentiis al culmine della passata stagione. In pratica alla “Sfida all’Ok Corral” di Garcia – che ha bordeggiato un altro film, quello dove si chiede la sua testa – si aggiunge Pioli come se fosse il “Rio Grande”, che l’allenatore del Napoli dovrà attraversare sotto il fuoco della banda rivale.

Lo sceriffo Rudi Garcia, nome da messicano, ha una città invasa, e problemi anche con i suoi, ma poi il giudice De Laurentiis gli regala un’altra possibilità. La sua seconda vita, da duro in conferenza stampa e, finalmente, da padre negli spogliatoi, non sappiamo se funzionerà, ma intanto comincia ad avere una seconda stagione. La prima, quella da cancellatore di Spalletti, da uomo presuntuoso ma con l’ammicco ai tifosi e alla città, è stata un disastro. Nella seconda è un allenatore diverso: più comprensivo, con una apertura enorme, e molto più accondiscendente. Sa che ogni partita è un duello, e questo rende la seconda stagione avvincente, perché deve vincere sempre. Una condizione che pesa su tutti e comporta una attenzione e una spinta assoluta da parte di ogni calciatore. Il Napoli non gioca ancora bene come con Spalletti e forse non giocherà mai più così, ma almeno ha ripreso a cercare di fare del proprio meglio.

Lobotka è tornato a essere protagonista, Raspadori e Meret sono finalmente in parte, e anche se non si sa come e quando tornerà Osimhen c’è Kvaratskhelia che va oltre sé stesso. È un buon inizio. E questo ha regalato un nuovo slancio a Garcia. Da timido e distante è diventato sfrontato e aggressivo, persino invadente. Ovviamente, per ora, va meglio in conferenza stampa rispetto al campo, ma la vittoria di Verona gli ha dato un ampio respiro per gli incontri con Union Berlino e Milan. E Garcia ha sentito l’iniezione di fiducia, la marcatura a uomo di De Laurentiis, che si è incollato al suo Napoli come Claudio Gentile con Diego Maradona a Spagna82, è stata fondamentale. Certo, Garcia ha creato più problemi di quelli dati da Leonardo DiCaprio a Martin Scorsese sul set di “Killers of the Flower Moon”. Ma, per ora, De Laurentiis, dopo più carpiati di Tania Cagnotto, è riuscito a tenerlo alla regia, inchiodandolo al set e portando a casa una prima vittoria. Garcia ha reagito alla cura, passando da “Il tempo delle mele” a “Il clan dei siciliani”, un bel salto, anche se continua ad avventurarsi in cambi lisergici, ma De Laurentiis direbbe che sono scorie della prima vita, tossine del ruolo precedente, in questo, alla fine, sarà un allenatore diverso e forse anche un uomo diverso. Vedremo. Ma la seconda vita di Garcia ha bisogno di molte altre vittorie, e al primo passo falso si torna indietro, senza ripassare da Castel Volturno. Alla fine, la seconda vita di Garcia è solo l’ennesima rinascita della fenice De Laurentiis, che davvero come Napoli ogni volta rinasce con una nuova voce e un nuovo sogno. Adesso vive dentro il Garcia che fa il Gabin, domani avrà il volto d’un altro personaggio, con il sentimento che serve alla squadra. Garcia, apprezzabilissimo, nel suo grande sforzo di andare oltre sé stesso, si porta dietro un mucchio di domande che restano senza risposta anche in questa seconda stagione, quella della memoria azzerata. Fa parte della trama, la rende più interessante, perché lo spettatore sa che prima o poi torneranno per avere una risposta definitiva: bianca o nera, non grigia. Ora c’è tanto colore su quel grigio da sembrare un film di Wes Anderson più che un western. Una mano arcobaleno esposta alle piogge autunnali. 

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