Rushdie, quella voce così potente contro i fanatici

di Massimo Adinolfi
Sabato 13 Agosto 2022, 00:00 - Ultimo agg. 06:55
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Tre milioni di dollari. Un anno dopo la pubblicazione dei «Versi satanici», il capolavoro di Salman Rushdie, l’Ayatollah Khomeini, a capo della rivoluzione islamica che in Iran spazzò via il regime dello Scià, lanciò la fatwa: Rushdie ha offeso Maometto e deve morire. Chiunque può eseguire la condanna, ovunque nel mondo. 

Da allora, da più di trent’anni, sul capo dello scrittore pende una taglia da tre milioni di dollari, che il successore di Khomeini, Ali Khamenei, ha rinnovato ancora di recente, su twitter: il verdetto dell’imam Khomeini, basato sulla parola del Profeta, è «solido e irrevocabile», ha scritto nel febbraio del 2019, e ieri qualcuno ha cercato di dargli esecuzione, provando ad accoltellarlo, mentre interveniva nel corso di un festival letterario, a Chautauqua, una cittadina dello Stato di New York. Cioè in Occidente, in quella parte del mondo che ha saputo affermare come un principio fondamentale, inviolabile e irrinunciabile, la libertà d’espressione, di manifestazione del pensiero. La libertà di criticare, la libertà di opinare, la libertà di errare, anche, grazie alla quale soltanto può articolarsi uno spazio pubblico aperto e plurale, nel quale la verità può essere cercata da ciascuno e imposta da nessuno. 

Le coltellate inferte a Rushdie, con il fanatismo dell’odio religioso che evidentemente non si attenua neanche dopo decenni, attentano questa libertà: la vita di un uomo, la libertà di noi tutti.

E bisogna tornare a quell’epoca in cui l’Europa, scossa dalla guerre civili di religione, conquistò faticosamente, nel corso di un processo plurisecolare, tolleranza religiosa e rispetto delle opinioni di tutti, e infine un ordinamento politico democratico, che quei principi seppe tradurre in istituzioni, per capire quanto prezioso sia il bene che ci assicura, e fragile. E, purtroppo, revocabile. E, certo, bisogna anche sapere che c’è stato un tempo,in Europa, in cui certi libri finivano al macero, o all’indice, e solo nel chiuso delle private abitazioni, tra gente fidata, al riparo da orecchie indiscrete, si poteva pensare e dire, non senza rischio, che Mosè in realtà era un mago, o che la Bibbia non è più vera di Gargantua e Pantagruel, o che Mosè Gesù e Maometto furono tre impostori e la religione tutta è un’impostura.

E però quel tempo l’Europa e l’Occidente hanno saputo relegarlo nel passato – se c’è un ambito nel quale la parola «progresso» mantiene ancora un senso credo proprio che sia questo – mentre in altre parti del mondo, purtroppo, questo non è ancora accaduto. Non abbastanza, almeno. Non senza che l’ombra cupa e violenta del fondamentalismo religioso ne riproponesse i lineamenti. È una differenza decisiva, che nessun relativismo culturale può cancellare, a meno di non voler pensare che la fede cieca e insensata dell’uomo che ha alzato il coltello contro Salman Rushdie ha lo stesso diritto di farsi valere, nella sfera pubblica, dell’ironia affilata e tagliente dello scrittore anglo-indiano.

Ancora. Bisogna ricordarsi che in Europa ci sono stati, perfino in tempi recenti, roghi e massacri, condanne e abiure, purghe e censure, persecuzioni e repressioni, per non dimenticare che la libertà – la libertà politica come la libertà religiosa – non è un dato di natura, ma una conquista di civiltà. Qualcosa che si ha e si acquista, non qualcosa che si è: e tutto quello che si ha si può anche perdere, purtroppo.

Capitava di leggere interviste in cui a Rushdie il giornalista chiedeva se si sentisse ancora in pericolo, se temesse per la sua incolumità, se considerasse ancora necessaria la scorta e attuale la minaccia, a così tanti anni di distanza dal pronunciamento di Khomeini. La risposta è, malauguratamente, nell’attentato di ieri. Ma è una risposta che, ancor prima che nel gesto sconsiderato, è data dal più ampio orizzonte in cui esso si colloca. Un orizzonte nel quale si sono forse fatte meno chiare le ragioni per cui difendiamo le nostre libertà, nel quale si diffondono purtroppo strane fascinazioni per uomini forti e regimi autoritari, come se libertà significasse non più fioritura dell’umanità, ma anarchia, disordine e declino. Così, anche se i fatti dimostrassero che si è trattato della follia di uno squilibrato, non verrebbe meno la luce sinistra che un evento tragicamente simbolico, gravido di stupida violenza, potrebbe gettare su noi tutti.

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