l senso del Mattino: raccontare Napoli

di Maurizio de Giovanni
Mercoledì 22 Luglio 2015, 23:27 - Ultimo agg. 23:32
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Ogni tanto qualcuno si sente depositario della verità, e ritiene di aver trovato la giusta chiave di lettura per interpretare la città nella sua intima essenza. Scrittori, registi, attori, perfino pittori e scultori, musicisti e cantanti, comici e sociologi; sia l’arte che la scienza, per non parlare della politica, diventano la giusta prospettiva per comprendere e quindi raccontare una realtà multiforme e in continuo cambiamento come questa strana, assurda area metropolitana che equivale a una regione, estendendosi dal mare e fino alle montagne in una sequenza di case e strade senza soluzione di continuità.



Queste interpretazioni, più o meno popolari, più o meno autorevoli, sono quasi sempre elaborate in buona fede e incontrano il favore di molti, salvo poi ritrovarsi a essere superate e smentite dalle successive teorie, che magari dicono l’esatto opposto. Il bello è che ognuna ha un valido fondamento, e propone uno o più aspetti di innegabile veridicità; si finisce perciò per dare ragione sia a chi dice una cosa che a chi sostiene l’opposto, ritrovandosi incoerenti ai propri stessi occhi. In realtà Napoli e la Campania sono illeggibili nella propria totalità. Un tale numero di persone, il dieci per cento dell’intera popolazione del Paese, l’area sostanzialmente ridotta in cui la maggior parte di esse sopravvive con difficoltà, accalcando i propri sentimenti e il caleidoscopio delle passioni, l’accavallamento costante di comportamenti, azioni e reazioni, idee e interessi sono materia così mobile e veloce da risultare forzatamente indistinta a chi volesse comprenderne ogni aspetto in un’unica occhiata.



E allora? Bisogna rassegnarsi a percorrere tutte queste strade e questi vicoli, le piazze e il lungomare, cercando di cogliere in rapide occhiate quello che si può, lasciando andare il resto? No. Basta una panchina, magari con un po’ di aria leggera, all’ombra; o il tavolino di un caffè non molto affollato, di quelli che non ti fanno sentire in colpa a rimanere seduto un po’ di più sotto gli sguardi di riprovazione dei turisti in attesa. Un posto tranquillo, e Il Mattino.



Perché a rifletterci bene questa città è come un’immagine inquieta e frammentata, un poliedro con tanti di quei lati da rendere impossibile contarli e riconoscerne il colore. E Il Mattino assomiglia a uno specchio rotto in mille pezzi distribuiti sapientemente, in maniera che ognuno racchiuda uno dei frammenti dell’immagine che riflette, senza però la pretesa di doverla ricostituire in un unico quadro coerente. Questo giornale ha accompagnato e accompagna questa città, che è una regione e che è stata uno Stato, in tutte quelle convettive trasformazioni che la rendono così simile a un pentolone nel quale ribolle un liquido scuro, il fondo che viene su e la superficie che va giù man mano che il fuoco riscalda, agitando ma non mescolandone il contenuto. Questo giornale racconta la città nell’unico modo possibile, senza provare a intravederne il futuro, senza tentare di scandagliarne il passato, ma inquadrando con proprietà e incisiva obiettività il presente.



Chi scrive non fa parte della squadra organica di questo giornale, limitandosi a vedere ospitato il suo pensiero, e può quindi rendere piena e incontestabile testimonianza dell’assenza di ogni forma di indicazione editoriale o peggio ancora di censura; questo giornale non lavora a tesi, scartando con cura i fatti da raccontare tra quelli coerenti a una teoria di fondo, da mettere in opportuno risalto, e quelli che la smentiscono, da escludere dalla narrazione. Questo giornale racconta la regione perché è nella coerenza con essa che ha la propria ragione di esistere. I frammenti di specchio che manda in giro riflettono le mille facce di quello che giorno dopo giorno avviene, molto più di quanto possa fare l’elaborazione di ogni teoria. È per questo che a nostro avviso diventa imprescindibile anche solo per guardarsi attorno; la cronaca e l’interpretazione, il respiro locale e quello internazionale concorrono a formare se non un’immagine coerente, almeno una valida opinione personale, forse incompleta e piena di buchi ma libera e non influenzabile. Di questi tempi, ci pare che non sia poco.