Stangata comune al resto d’Italia ma qui il risultato è già drammatico

di Nando Santonastaso
Venerdì 30 Settembre 2022, 00:00 - Ultimo agg. 06:00
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Molti chiuderanno. Altri proveranno a resistere cercando di risparmiare il più possibile sull’anello fatalmente debole della catena, il costo della manodopera, visto che sul prodotto finale si può incidere solo in parte. Licenzieranno, cioè, o proveranno a reclutare personale alla buona, senza esperienza e formazione, pagandolo in nero e sperando di sfuggire ai controlli del Fisco. Sembra fin troppo annunciato e credibile l’impatto del nuovo tsunami dei prezzi dell’energia sul sistema delle micro e piccole imprese di Napoli e del Mezzogiorno, tradizionalmente le più deboli e precarie (specie dal punto di vista finanziario) del Paese. ù

La manifestazione di ieri a Napoli dei panificatori è solo l’avvisaglia della paura e della tensione che serpeggiano ormai da tempo in tante categorie produttive di fronte all’ulteriore aumento delle bollette del gas e dell’energia elettrica, già oggi insostenibile per milioni di famiglie. Soffia, fortissimo, il vento dell’incertezza: e con esso, la sensazione di vedere aggravato il già pesante bilancio di due anni di Covid e soprattutto azzerato il segnale di ripresa di questi ultimi mesi, dovuto al turismo con il ritorno dei visitatori stranieri e al rilancio dell’edilizia in chiave superbonus 110%.

Se il rischio diventasse realtà, come si teme, l’effetto sarebbe drammatico per un territorio che alla voce servizi e terziario affida più di un terzo del totale della manodopera attiva. Si aprirebbe una voragine sociale dai risvolti preoccupanti e carichi di incognite: come reagirebbe quel mondo fatto di baristi e ristoratori, bottegai e fornitori di servizi, spesso con uno o due dipendenti, rimasti a galla nonostante la pandemia, le chiusure forzate, l’inflazione galoppante e la crisi dei consumi?

Napoli, forse soprattutto da questo punto di vista, non è sovrapponibile ad altre città metropolitane. Qui, come sappiamo tutti, la sopravvivenza della stragrande maggioranza delle piccole e piccolissime attività economiche è strettamente interconnessa all’identità del territorio e dei suoi abitanti.

Qui, dove povertà e disoccupazione restano problemi enormi e in gran parte insoluti, è persino inutile spiegare perché bollette energetiche mensili da 1.500 e più euro faranno una strage. Colpiranno al cuore un “sistema” sicuramente in ritardo sul piano dell’innovazione, della trasparenza e della qualità complessiva della proposta ma ancora capace di assorbire - sia pure a fatica - i contraccolpi dei cicli negativi, resiliente e creativo insomma al di là dei suoi stessi limiti. E non finirà lì, oltre tutto: non risparmieranno, i rincari, anche le altre componenti delle filiere produttive e distributive, quelle un gradino più su, dai piccoli trasportatori ai fornitori di materiali per le costruzioni, dagli elettricisti ai fabbri, dai manutentori ai pizzaioli e così via. Per ognuno di questi mestieri potrebbero non bastare i sussidi pubblici, che pure si annunciano massicci.

Né il ricorso alla Cassa integrazione riuscirà sempre a garantire una ciambella di salvataggio a quanti riusciranno ad afferrarla. Qui persino spegnere le luci entro e fuori le case o ridurre di qualche grado il riscaldamento negli uffici rischia di servire a poco. Non è la retorica del pessimismo a spingere a queste riflessioni ma il sospetto che non si abbia ancora la piena consapevolezza di ciò che potrebbe accadere. Che passi cioè l’idea che Napoli possa rinunciare ad una parte di sé senza conseguenze, che sarebbero invece inevitabilmente più pesanti di ogni altra parte del Paese. Sarebbe la mazzata definitiva non solo per chi sarà costretto ad abbassare, forse per sempre, la saracinesca del proprio negozio: sarebbe soprattutto un colpo mortale alla credibilità di una città che nel nome del coraggio e della solidarietà continua, nonostante tutto, ad avere pochi rivali nel mondo. 

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