Sud, bene il Recovery ma si può fare di più

di Nando Santonastaso
Sabato 17 Aprile 2021, 23:30 - Ultimo agg. 18 Aprile, 08:01
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Il 40% delle risorse complessive del Recovery Plan al Mezzogiorno, annunciato dalla ministra per il Sud e la Coesione territoriale Mara Carfagna, è sicuramente un risultato importante. Per l’ammontare in sé degli investimenti previsti, intorno agli 80 miliardi, pare, che è sicuramente notevole; per lo scatto in avanti rispetto alla precedente impostazione del Pnrr, ferma alla quota del 34%: un tetto, quest’ultimo, che peraltro non aveva e non ha nulla a che vedere con i fondi europei.

Esso, infatti, si deve per legge applicare solo ed esclusivamente agli investimenti ordinari in conto capitale dei ministeri, non ad altro. E poi per il breve tempo, circa due mesi, in cui il Mezzogiorno è passato da un riferimento trasversale ad un capitolo vero e proprio del Recovery stesso. Si potrà discutere se, avendo più tempo a disposizione, quel 40% sarebbe potuto diventare già adesso, a pochi giorni ormai dalla presentazione del Pnrr a Bruxelles, molto di più: potrebbe pensarci per la verità il Parlamento, tappa obbligatoria prima del varo definitivo, che potrebbe non limitarsi ad una semplice ratifica, anche perché su alcune percentuali di risorse, da quelle per le politiche attive per il lavoro a quelle per la salute, la quota prevista per il Sud appare oggettivamente bassa (inferiore al 40%). Ma questo al momento non lo si può prevedere. 

Si possono invece approfondire, sulla base di quanto è stato reso noto in questi giorni, almeno tre temi legati alla nuova impostazione del Recovery Plan in chiave Mezzogiorno, in attesa di leggerne il testo ufficiale.

Il primo riguarda la composizione delle risorse destinate al Sud. Nel senso che di esse, come aveva stabilito il precedente governo, fanno parte anche 21 miliardi sganciati, per così dire, dal Fondo sviluppo coesione (soldi nazionali, per intenderci) per rafforzare il peso del Mezzogiorno rispetto alla prima, deludente stesura del Pnrr. Un’anticipazione, in parole povere, per la quale però - come aveva fatto notare la Svimez in due audizioni in Parlamento - bisognava garantire subito il ricarico nel Bilancio dello Stato, per evitare che il Sud perdesse l’utilizzo di fondi che per legge sono già ad esso destinati per un ammontare pari all’80% del totale. Il tema e i dubbi ad esso connessi sono tornati di attualità in questi giorni per iniziativa del Pd, e segnatamente del vicecapogruppo alla Camera Piero De Luca, con risposta a stretto giro di Forza Italia: nel Def è previsto che quell’anticipazione verrà gradualmente ricostituita man mano che arriveranno i primi fondi del Next Generation Eu.

Polemica politica a parte, è un nodo che si può sciogliere definitivamente con buon senso e un impegno formale, all’interno delle linee guida del Pnrr, magari. Non dovrebbe essere impossibile riuscirci. 

Detto ciò – ed ecco il secondo tema - non si può non sottolineare che senza quei 21 miliardi, l’ammontare delle risorse aggiuntive destinate al Mezzogiorno sarebbe stato molto modesto rispetto alle attese suscitate dal Recovery Fund europeo. La loro aggiunta fu il tentativo del vecchio governo di migliorare l’impostazione iniziale del Pnrr ma al tempo stesso la conferma che non si era comunque pensato di destinare una quota maggioritaria o adeguata al Mezzogiorno con i soli soldi europei del Next generation Eu. Si poteva intervenire ora? Quasi certamente no, visto che l’impianto di base è stato pressoché confermato dal nuovo esecutivo e che un’operazione di revisione completa avrebbe richiesto molto più del tempo a disposizione.

Perché il cuore della questione - ecco il terzo tema – alla fine non è solo quante risorse dovrebbe avere il Mezzogiorno, fermo restando che il 40% non è affatto poco. È come dimostrare che l’Italia tutta ha deciso nei fatti di puntare su quest’area per tornare ad essere competitiva e soprattutto unita. A cominciare, ad esempio, dalla volontà di mandare in soffitta la spesa storica delle Regioni in cambio di quella nazionale come criterio per l’assegnazione delle risorse; di garantire una spesa pro capite nella sanità uguale per tutti, con criteri necessari di perequazione per chi sta peggio; e ancora, di convincere il grande ancorché calante sistema imprenditoriale del Nord che investire nel Mezzogiorno non significa rimetterci ma al contrario far crescere un’area rimasta indietro ma, proprio per questo, indispensabile a far ripartire l’intero Paese. Questo impatto farebbe probabilmente la differenza se venisse fuori come una strategia vera e propria del governo, annunciata e sostenuta al massimo livello, al di là dell’impegno di chi, come la ministra Carfagna, quotidianamente difende l’assoluta priorità del Mezzogiorno. Misurarsi su di esso aprirebbe cioè uno scenario finalmente nuovo e di grande respiro, di visione o di sistema come si ripete oggi. Scenario del quale per ora si intravede qualche segnale ma sul quale sarebbe necessario coinvolgere tutti, imprese e politica, a prescindere dal colore o dal territorio di provenienza. La posta in palio è il futuro del Paese, non solo del Sud. 

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