Tutti all’estero, il paese è in fuga

Tutti all’estero, il paese è in fuga
di Pietro Treccagnoli Inviato
Martedì 17 Ottobre 2017, 22:17
4 Minuti di Lettura
Castelnuovo di Conza - Gli anziani si godono le ultime ore di insolito e gradito tepore autunnale seduti all’ombra di un albero sempreverde, proprio accanto all’insegna «piazza dell’Emigrante», appena fuori il villaggio di 250 prefabbricati che un tempo hanno ospitato i terremotati del 1980, e ora, a luglio e agosto, si riempiono dei castelnuovesi della diaspora che vengono a passarci le vacanze, raddoppiando la popolazione. In una delle case di legno trovate uno dei tre bar del paese. Maria Del Vecchio prepara i caffè. Lei all’estero non c’è stata. Qui è nata e qui è rimasta. Rara avis. Ma sei fratelli di suo padre hanno preso i bastimenti per Argentina, Venezuela e Stati Uniti e quasi tutti là sono rimasti.

Così Maria ha una marea di cugini dall’altra parte dell’Atlantico. In tutta Castelnuovo di Conza, in provincia di Salerno, incastrata tra quelle di Avellino e Potenza (è giusto la linea delle pale eoliche a fare da confine), spartiacque tra il Tirreno e l’Adriatico, vero osso del Mezzogiorno, per usare l’antica definizione di Manlio Rossi-Doria, in questo angolo d’Appennino che domina l’alta valle del Sele non c’è nessuno dei residenti che non abbia o abbia avuto un parente residente all’estero o comunque lontano dal paese o che non si sia stato di persona per anni o decenni.

Perché questo grappolo di case ristrutturate, o tirate su nuove dopo il sisma di 37 anni fa, detiene, secondo l’ultimo rapporto Migrantes, il record di cittadini iscritti all’Aire, l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero. Per ogni residente in loco ce ne sono almeno 4,5 che vivono lontano dall’Italia. I dati aggiornatissimi li fornisce Orazio Guarino, l’impiegato del Comune che si dedica quasi quotidianamente alle pratiche di cittadinanza. Castelnuovo ha 605 abitanti e ben 2752 cittadini Aire. Ne ha persino di più in Ecuador (675) e in Colombia (621) che tra queste strade sulagne. Ma sono tanti anche i residenti in Belgio (371), Svizzera (363), nel Salvador (181) e in Venezuela (13).

Persino il gruppo Facebook «Castelnuovo di Conza e Castelnuovesi nel Mondo» supera per iscritti gli abitanti: quasi mille e trecento contro i 605 cittadini in loco, destinati a diminuire. «Per dieci persone che muoiono all’anno, al massimo ne nascono due o tre» commenta rammaricato il sindaco Michele Iannuzzelli, in carica da quattro anni. Sulla scrivania di Guarino arrivano dall’estero almeno 600 atti da trascrivere all’anno. Un comune di 10mila abitanti in media ne sbriga 50. Sono atti che riguardano emigranti, ma anche figli e nipoti di emigranti, terza o quarta generazione, diventati cittadini per effetto di matrimonio o ius sanguinis, per linea paterna o materna. 

Solo così si spiega la grande discrepanza che c’è tra i residenti reali e quelli virtuali. Chi, invece, per lavoro si è trasferito in Europa (Belgio, Svizzera, Germania, Inghilterra) ha conservato un legame con il paese d’origine e lo coltiva. «Ma chi vive in Sudamerica» spiega Guarino «ha scarsissimi contatti con noi». Solo burocratici. «La richiesta di cittadinanza italiana e quindi europea» aggiunge «serve ai sudamericani per godere dei diritti comunitari e spesso è necessaria per far studiare i figli in Spagna». Non si tratta dei discendenti di una diaspora recente, quindi. Lo spopolamento di queste aree è cominciato già poco dopo l’Unità d’Italia. Terra amara, avara, scoscesa che si presta a nutrire piccole vigne e, adesso, qualche ulivo. Qui si produce caciocavallo podolico e un ricercatissimo miele di rovo. E poco altro.

I castelnuovesi sono, per lo più, insegnanti, impiegati, qualche contadino, in tanti lavorano nelle fabbriche dei dintorni. Molti gli anziani. C’è una chiesa, Santa Maria della Petrara, costruita dopo il terremoto con un campanile che sembra uno zigurrat mediorientale. Quella storica, dedicata a San Nicola, è stata distrutta dalle scosse e ne resta solo il pavimento invaso da fiori gialli. Testimonianza del dolore che portò via una novantina di abitanti. Per la spesa è a disposizione un solo negozio che fa da emporio con generi di prima necessità. L’unica scuola è quella elementare con nove iscritti e sei frequentanti.

«Due bambini adesso sono in Svizzera, l’altra era una piccola rumena andata via con i genitori» racconta il sindaco. «Il nostro paese è un castello di 100 stanze con tre abitanti». In effetti girando per le linde stradine non si incontra quasi nessuno. Le case del borgo ricostruito hanno colori tenui e alcune sono impreziosite da farsi del poeta e paesologo Franco Arminio, innamorato di queste terre. L’emigrazione giovanile degli ultimi anni s’è diretta verso il nord dell’Italia. E non si differenzia molto da quella di tutto il Sud. Ma i padri e gli zii dei ventenni e trentenni di oggi hanno fatto le valigie tra il dopoguerra e gli anni Settanta, diretti in Svizzera e in Belgio. Tra Bruxelles e Maastricht i castelnuovesi sono tanti come Pietro Guarino che proprio l’anno scorso è andato in pensione, dopo aver lavorato per anni in un grande store di elettronica.

«Appena posso, almeno tre volte all’anno, torno a Castelnuovo. E appena anche mia moglie smetterà di lavorare torneremo in Italia definitivamente» spiega al telefono. «Non ho mai preso la cittadinanza belga, perché il mio cuore è sempre stato laggiù» aggiunge con l’enfasi dell’emigrante generoso e nostalgico. E con lui ci sarà una goccia in più a contrastare l’inesorabile decrescita.
© RIPRODUZIONE RISERVATA