Noi, diabetici e senza vaccino ​con la paura di morire di Covid

di Angelo Cerulo
Martedì 9 Marzo 2021, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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Un mare di chiacchiere mentre i morti sono centinaia. E Il prossimo potrei essere io. Sono un giornalista del’Ansa e lavoro a Napoli.

Diabetico ormai dipendente dall’insulina e con la pressione alta, 62 anni, aspetto con ansia di sapere qualcosa sui vaccini. Nulla. Il vuoto. Eppure facendo il giornalista dovrei poter avere accesso a fonti qualificate e saperne di più. Invece, zero. Solo risposte generiche, evasive. Bombardato da mille stimoli ma nessuno ti porta la notizia che aspetti.

Cresce dentro di te la rabbia, come quella di milioni di cittadini cosiddetti «fragili», fragili nel corpo ma certo non nello spirito. Diabetici, ammalati di cancro, in chemioterapia, immunodepressi, disabili... Stanchi di ascoltare le chiacchiere di virologi, autorità sanitarie, commissari ed esperti, aspettiamo un segnale che non arriva. Né dallo Stato né dalle Regioni. Da nessuno. Ma i vaccini per i « fragili» servono subito. Punto. 

Le risposte? Le solite: mancano le dosi. E chi ci doveva pensare? Chi ci deve pensare? Le autorità politiche, e quelle sanitarie. Non certo i malati. Che amarezza.

Strano Paese il nostro. Dove tutto è possibile. Dove ci sono 300-400 morti al giorno per il Covid ma la gente se ne frega. Forse per esorcizzare il pericolo, forse perché fin quando non si è toccati direttamente, pace, il problema non esiste. Strano Paese dove le istituzioni, e i governi che si succedono, hanno evidentemente altro a cui pensare. Strano Paese, dove si ‘puniscono’ i ristoratori e si consente il libero ‘sciamare’ di incoscienti. Con controlli inesistenti. Strano Paese dove ci sono due, tre, quattro, dieci tipi di assistenza sanitaria a seconda della regione in cui vivi.

Strano Paese dove impera la propaganda e la ricerca del consenso, non gli interventi seri. Strano Paese dove le «priorità» nella vaccinazione vengono stabilite non si sa in base a quali criteri ma certamente non in base al buonsenso.

E’ qualunquismo? No, è il comune sentire di milioni di cittadini senza voce. Cittadini arrabbiati ma che non contano. Siamo diventati come ‘invisibili’. Non resta che aggrapparsi all’ottimismo della volontà piuttosto che al pessimismo della ragione. 

Ma è dura. E ho paura. Ho paura di morire. 

Un piccolo colpo di tosse e vai in paranoia. La mente vola e cominci a pensare: oddio, e se mi ammalo? Non mi potranno dare neppure il cortisone che fa schizzare la glicemia in un diabetico… O no? Ma sì, potranno darmelo ma a certe condizioni. E le medicine per il cuore? E quelle nuove medicine, gli anticorpi monoclonali, funzionano? Corri, corri, corri in una specie di deserto della paura. L’angoscia ti prende. Pensi agli affetti, pensi all’amico morto pochi giorni fa che stava meglio, ma molto meglio di te. E pensi di avere bisogno ancora di qualche tempo per ‘annusare’ un po’ di vita.

Non mi vergogno a rendere pubbliche le mie ansie anche se ho dovuto superare l’innata ritrosia a parlare di me, legato come sono al mio lavoro di cronista che racconta i fatti altrui. Ma ora non è così. Ora, con i miei limiti e con le mie paure, voglio contribuire a dare voce agli invisibili. A quelli che non fanno lobby. A quelli che chissà perché sono stati di fatto cancellati.

E, quindi, non mi vergogno. Sono altri che si dovrebbero vergognare. Chi ci ascolterà? 

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