Il 27 febbraio è stato pubblicato RimanDATI. Primo report nazionale sullo stato della trasparenza dei beni confiscati nelle amministrazioni locali, che illustra i risultati di un percorso di ricerca di Libera in collaborazione con Gruppo Abele e con il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino. L’obiettivo era rilevare la trasparenza in 1.076 Comuni italiani in merito alla pubblicazione dei dati sui beni confiscati che insistono nei loro territori, ovvero che sono stati destinati al loro “patrimoni indisponibile”. Come noto, i comuni sono i principali destinatari finali dei patrimoni – mediamente più di 8 beni confiscati su 10 va a loro – ed è data loro delega di agevolarne la valorizzazione anche mettendo in campo pratiche di trasparenza e di coinvolgimento della società civile nel recupero e restituzione a usi collettivi. Eppure, proprio a livello comunale le potenzialità del riuso sono tuttora dense di ostacoli, criticità ed esitazioni, come aveva mostrato anche la ricerca Pol.i.s. sulla Campania. Una delle criticità risiede proprio nella carente trasparenza e mancata pubblicazione dei dati.
Il Report di Libera mostra come, su 1.076 comuni monitorati, ben 670 non pubblicano l’elenco sul loro sito internet (il 62% del totale), così come previsto dall’art. 48 del Codice antimafia. È in questo senso che il Report reca il titolo “Rimandati”, come l’esito di un “esame” dal risultato mediamente insufficiente, che “rimanda a settembre” le amministrazioni locali.
La mancata trasparenza non è uniforme nel territorio nazionale. Nel Report si riportano ad esempio i dati disaggregati a livello regionale, dove si registrano valori differenziati. Tra i comuni più “virtuosi” ci sono quelli della Basilicata (67% dei comuni che pubblica l’elenco), Marche (60%), Emilia-Romagna e Liguria (50%). Tra i comuni “meno trasparenti” ci sono quelli dell’Umbria (dove solo il 14% dei comuni pubblica l’elenco), del Trentino-Alto Adige (25%), dell’Abruzzo (26%), della Sardegna (27%). Toscana, Veneto (31%), Lombardia (32%) e Campania (34%) si pongono in una situazione intermedia, anche se sotto il 40%. I comuni del Lazio raggiungono quota 49%.
Un’altra disaggregazione interessante riportata nel Report concerne la dimensione demografica dei comuni. Come noto, i patrimoni confiscati non sono equamente distribuiti e si addensano in alcuni territori e presso amministrazioni locali di dimensioni variabili, dalla Città metropolitana ai comuni di piccole e piccolissime dimensioni.
Di certo non si può addossare a un’indistinta platea di amministratori e amministratici locali le responsabilità di queste complicazioni. Al contrario, come si legge nel Report e nelle sue proposte politiche, il ruolo dei Comuni va ulteriormente sostenuto e qualificato, specialmente nella loro doppia funzione di detentori del patrimonio e di animatori di partecipazione tra pubblico e privato sociale. La mancata trasparenza dei dati sui beni confiscati è una criticità di non secondaria importanza: il potenziale insito nel riutilizzo è infatti profondamente frenato quando non si rendono accessibili, conoscibili e valutabili le informazioni sull’effettiva destinazione, sulla consistenza e sul valore dei patrimoni disponibili nei Comuni.
Il Report colma una lacuna informativa importante, dato che ancora non esistono osservatori o indagini che riportino dati sistematici sul riutilizzo dei patrimoni. Dispone inoltre di una articolare nota metodologica, frutto della collaborazione con l’Università di Torino, che spiega passo per passo tutto il protocollo di rilevazione rendendo così la ricerca replicabile. Ciò costituisce anche un insieme di riferimenti e suggerimenti pratici, operativi e utilizzabili da parte di chi voglia esercitare una piena cittadinanza monitorante.