Carceri, escalation suicidi: il 2022 supera già il 2021

Carceri, escalation suicidi: il 2022 supera già il 2021
di Gigi Di Fiore
Giovedì 11 Agosto 2022, 07:49 - Ultimo agg. 12 Agosto, 09:30
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È una triste spoon river, in una realtà dove la speranza è assente. Da gennaio, sono 49 i detenuti morti di suicidio nelle carceri italiane. Un numero che appare in costante crescita e allarma il Dap, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, che è alla ricerca di soluzioni. Ma non è semplice.

L'ultimo in ordine di tempo si chiamava Dardou Gardon, 33 anni, algerino condannato per rapina. Si è ucciso nel carcere di Secondigliano, dove era stato trasferito a maggio da Benevento. La famiglia vive a Marsiglia e Gardon avrebbe voluto un trasferimento in un carcere del nord, per sperare bella visita di qualche parente. Una storia di solitudine, disperazione, mancanza di assistenza psicologica. Il giorno prima si era invece tolto la vita nel carcere di Poggioreale il 43enne napoletano Francesco Iovine, in carcere da novembre. Era anoressico, pesava solo 43 chili ed era stato ricoverato più volte all'ospedale Cardarelli. Rifiutava spesso il cibo, scontava una condanna per una serie di truffe. Quando hanno chiamato l'ambulanza per soccorrerlo, era troppo tardi. E poi c'è stato Sossio Chicchiello, 50 anni, suicida nel piccolo carcere di Arienzo dove era rinchiuso in una cella singola dopo il trasferimento da Poggioreale. Tre morti in cinque giorni nelle carceri campane. Il garante nazionale per i detenuti, Mauro Palma, considera ogni morte dietro le sbarre «una sconfitta della società». Se sono stati finora 49 i suicidi nelle carceri italiane, altri 49 detenuti sono morti per malattie. I numeri fanno riflettere. L'anno scorso, i suicidi in carcere furono in totale 55, su 133 decessi. In 22 anni, sono morti suicidi 1272 detenuti. Una vera e propria strage.

Non aiutano le condizioni delle strutture carcerarie. In questi giorni, in molti istituti, come a Palermo o Santa Maria Capua Vetere, le annose difficoltà di approvvigionamento idrico si fanno più sentire per il caldo. E poi il sovraffollamento, con più rinchiusi rispetto alla capienza. Fino al 31 luglio, nei 189 istituti penitenziari italiani erano presenti 54.979 detenuti rispetto a una capienza effettiva di 50.909. Il sovraffollamento costringe a condizioni di disagio con celle affollate e crescenti tensioni di convivenza. In Campania, nei 15 istituti penitenziari sempre a fine luglio risultavano presenti 6665 detenuti su una capienza di 6125. La diversità delle situazioni carcerarie alimenta difficili gestioni e incomprensioni. Gli ergastolani sono una piccola parte della popolazione carceraria. E quando poi in una struttura vengono rinchiusi detenuti al regime duro del 41-bis, dalla mentalità e dai legami mafiosi, nascono altri problemi. In una realtà disumana, vengono psicologicamente stritolati i più fragili, quelli che arrivano in carcere per la prima volta, per reati meno gravi, magari senza il sostegno di colloqui con familiari.

La necessità di un'assistenza psicologica stabile, con personale assunto a tempo pieno, è stata più volte segnalata dai garanti per i detenuti in ogni regione. Come Samuele Ciambriello in Campania. Secondo il sindacato di polizia penitenziaria, il 60 per cento dei suicidi sono di tossicodipendenti e di detenuti con problemi psichici. Vale a dire, per i tossicodipendenti, il 30 per cento della popolazione carceraria, che è del 13 per cento per chi ha problemi psichici. Spiega Aldo Di Giacomo, segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria: «Con queste persone particolarmente fragili, la media di assistenza psichiatrica e psicologica si attesta intorno alle 10 ore settimanali ogni 100 detenuti per gli psichiatri e intorno alle 20 ore settimanali ogni 100 detenuti per gli psicologi. Il carcere non può diventare un ghetto sociale».
L'Unione delle Camere penali ha chiesto un incontro al capo del Dap, Carlo Renoldi. E tre giorni fa, proprio il Dap ha diffuso una circolare con le linee guida per prevenire i suicidi. Il documento prende atto «del drammatico fenomeno che sta registrando in questi mesi un sensibile incremento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno» e si rivolge agli staff multidisciplinari, costituiti dai direttori del carcere, il comandante degli agenti penitenziari, l'educatore, il medico e lo psicologo, chiamati a individuare situazioni a rischio per intervenire. Ma resta il problema delle strutture e delle poche ore di colloqui con psicologi, medici e assistenti sociali. I detenuti si suicidano impiccandosi (51 casi nel 2021), utilizzando sacchetti per soffocarsi (4 casi), o tagliandosi le vene (4 casi). Quando avviene è tardi e la struttura carcere, che dovrebbe recuperare e rieducare, ha fallito il suo compito.
 

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